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Cosa serve al Sud per colmare il divario con il Centro-Nord?

Sud Italia

Per far uscire il Sud dalla condizione di allontanamento rispetto ai parametri economici e sociali del Centro-Nord – immaginate una piattaforma continentale alla deriva nel mare dell’economia globale e che più o meno velocemente si distanzia dalla terra a cui apparteneva – si sono ideate, progettate e sperimentate tutte le teorie economiche più in voga negli ultimi sessant’anni.

Se si potessero mettere insieme i contributi degli ultimi cinquant’anni di intellettuali, economisti, giuristi, sociologi, artisti, accademici di tutte le discipline a favore dell’analisi della situazione del Mezzogiorno d’Italia (ma io preferisco chiamarlo Sud) e delle ricette per il suo definitivo rilancio, penso ci vorrebbe un edificio molto grande. Immagino milioni di pagine di carta. Anche le digitalizzate d’altronde occuperebbero terabyte a iosa.

L’incipit mi serve per entrare a “piedi uniti” nel cuore del discorso. Per far uscire il Sud dalla condizione di allontanamento rispetto ai parametri economici e sociali del Centro-Nord – immaginate una piattaforma continentale alla deriva nel mare dell’economia globale e che più o meno velocemente si distanzia dalla terra a cui apparteneva – si sono ideate, progettate e sperimentate tutte le teorie economiche più in voga negli ultimi sessant’anni.

LA STAGIONE DEI GRANDI INVESTIMENTI PUBBLICI AL SUD

Si è partiti con la Cassa del Mezzogiorno di Gabriele Pescatore e Pasquale Saraceno, preziosissima per migliorare e spesso crea- re le infrastrutture di base, poi con la teo- ria dei grandi investimenti pubblici, guidati dall’Iri e dal gruppo di brillanti economisti intorno a questo fondamentale ente. Sono scaturiti da questi progetti le acciaierie di Bagnoli, Taranto, il Petrolchimico di Brin- disi e molto altro tra Sicilia e Sardegna. Il risultato di queste politiche, secondo me non frutto di scelte in funzione di processi amministrativi opachi per lucrare su investi- menti miliardari, ma onestamente guidate da teorie economiche condivise a livello di comunità scientifica nazionale e internazio- nale, non hanno determinato una definitiva, completa, solida crescita. Gli attivi materia- li, ovvero le enormi fabbriche dell’acciaio o del chimico con un portato di devastazione ambientale di cui si sono visti gli effetti dopo oltre un trentennio, non hanno inciso oltre una certa soglia.

C’è stato ovviamente un forte ritorno (so- prattutto rispetto a una situazione deser- tica) dal punto di vista occupazionale. Il risultato è stato negli anni Sessanta del se- colo scorso e fino al 1975 una riduzione del divario. Per la prima volta la piattaforma, descritta prima con un iperbole, si è avvi- cinata al continente. Ma introdurre dall’alto questi agglomerati in luoghi senza un retro- terra di servizi, formazione, dialettica tra le parti (pubbliche e private) ha comportato che all’insorgere delle inevitabili e ricor- renti crisi industriali, spesso determinate da fattori esogeni a livello mondiale, l’indu- strializzazione di Stato è venuta giù come un castello di sabbia. Questo ha comportato grandissimi problemi a livello di impianti di cui l’Ilva di Taranto, oggi, ne è un eclatante caso limite.

IL DISIMPEGNO DELLO STATO PER IL SUD

Il successivo passaggio è stata l’incentivazione di investimenti privati mediante il principio di addizionalità. Ovvero agli imprenditori privati che volessero investire nel Sud è stato garantito un contributo da non restituire (cosiddetto a fondo perduto) che compensasse le diseconomie esterne e permettesse un ritorno sugli investimenti (pay-back) più veloce. Cito a titolo di esempio, ma non esaustivo, le note Leggi 64 e 488 del 1992, poi variamente modificate e integrate. Tenendo presente che all’investimento con fondi nazionali è subentrato, con l’intensi- ficarsi dei rapporti a livello comunitario e poi di Unione europea, il finanziamento con fondi europei. La crisi del bilancio italiano e l’incremento vertiginoso del debito pub- blico han fatto sì che i fondi europei che si sarebbero dovuti aggiungere a quelli italiani hanno spiazzato questi ultimi.

Nel 1992, in particolare, è stata decretata la fine dell’intervento straordinario (della Cassa per il Mezzogiorno) e l’intervento è divenuto “ordinario”. La conseguenza è stata la vaporizzazione dell’azione statale. Pertanto l’unico finanziamento del Sud negli ultimi trenta anni è venuto prevalentemente dai fondi europei. Ma con quale risultato?

Cito il pregevole lavoro della Banca d’Italia, “Il divario Nord-Sud. Sviluppo economico e intervento pubblico”. In questo lungo perio- do (ndr dal 1960 al 2022), così differenziato negli andamenti economici, l’ampio divario di sviluppo che caratterizza il Mezzogiorno si è mantenuto pressoché intatto nel tempo: dopo una breve fase di convergenza inter- rottasi negli anni Settanta è tornato succes- sivamente ad ampliarsi. La ricostruzione dei dati storici di De Philippis et al. (2022), ba- sati per i periodi più remoti sulle serie pub- blicate dalla Svimez, mostra infatti che solo nel quindicennio 1960-75 si è registrata una convergenza nel prodotto per abitante tra le due aree del Paese ( Figura 2.1 e Figura 2.2). Quindi dopo oltre 60 anni di interventismo e migliaia di miliardi di lire e poi decine e decine di miliardi di euro siamo al punto di partenza.

La tesi economica più in voga negli ultimi venti anni è stata improntata all’accrescimento del capitale umano. Si è visto nella scarsa capacità di accumulazione del capitale umano, intangibile ma essenziale allo sviluppo fatto di esperienze, conoscenze, cultura, formazione, cooperazione tra pubblico, privato, centri di ricerca e accademia il profilo di criticità nella ricerca della riduzione e successivo azzeramento del divario. Il tutto con l’aggravante che l’intera Italia si è disallineata rispetto ai sentieri di crescita realizzati in Europa.

LA SORPRENDENTE CRESCITA DELLE MEDIE IMPRESE

Personalmente trovo un elemento di ottimismo, oggi, rispetto a quanto sinora visto. E partirei da un recente rapporto: “Leader del cambiamento: le medie imprese del Mezzo- giorno” realizzato dall’Area studi di Medio- banca, dal Centro studi Tagliacarne e Union- camere. In tale documento si scrive che “accelera la crescita delle medie imprese del Mezzogiorno, che negli ultimi dieci anni han- no superato le aziende di analoghe dimensioni del Centro e del Nord.

Anche l’impennata dei costi energetici e la crisi pandemica non hanno frenato la corsa di queste ambascia- trici del cambiamento del Sud, che quest’an- no prevedono un incremento del loro giro d’affari dell’8,1% (contro il 7,2% delle altre aree d’Italia), dopo l’aumento del 10% con- seguito nel 2021.

Così, quasi la metà contava di superare entro il 2022 i livelli pre-Covid. A conferma di una dinamicità che in dieci anni, tra il 2011 e il 2020, ha visto crescere il loro fatturato del 35,2% (contro il 16,7% delle al- tre aree d’Italia), la produttività del +28,3% (contro il +20%) e la forza lavoro del +25,6% (contro il +19,8%)”.

TECNOLOGIE PER UNA NUOVA GENERAZIONE DI IMPRENDITORI

Esiste un fermento, quindi, un germogliare di iniziative nonostante i grossissimi proble- mi esogeni che costringono le imprese del Sud a fare i conti con una burocrazia son- nacchiosa e indolente, quando va bene, con una logistica difficile, con una manodopera scarsamente formata, con un’atavica man-

canza di capitalizzazione delle imprese ed un sistema bancario poco pronto alle sfide globali che le stesse debbono affrontare. Al contempo, però, si è creato un substrato di pubblica amministrazione esperta nella ge- stione dei contributi pubblici, di matrice eu- ropea, che utilizzando le economie di scala derivanti dall’introduzione delle tecnologie digitali esprime buoni livelli di efficienza.

La chiave di volta è quindi nelle tecnologie, che azzerano i vantaggi competitivi che si sono stratificati nel corso del tempo nei settori tradizionali a favore di altre aree e nazioni concorrenti, ed esprimono una vo- cazione disruptive, termine inglese deriva- to dall’informatica che non è “distruttivo” ma al contrario evocativo del cambiamento di paradigma. I vecchi “spiriti animali” di schumpeteriana memoria. Il vecchio scom- pare sostituito dal nuovo che al suo interno cela una potenza rinnovatrice e portatrice di creazione di valore aggiunto e di ricchezza.

Le idee viaggiano nella testa degli imprenditori, dei giovani imprenditori che si stan- no facendo avanti nel Sud. Sono giovani con esperienze di lavoro all’estero, o in contesti italiani evoluti, con una buona o ottima for- mazione (lauree, master, dottorati, ecc.) e la voglia di mettersi in gioco e di fare un’im- prenditoria nuova, alla pari dei loro coetanei forse un po’ troppo frettolosamente diviniz- zati della Silicon Valley.

L’ESEMPIO BARESE

Come esempio vorrei portare un’azienda pugliese, localizzata nei pressi della città di Bari che è divenuta un caso di studio. Sono capaci di realizzare la tecnologia di stampa 3D più precisa al mondo per super polimeri e materiali compositi ad alte performances. Stampano con la tecnologia 3D parti di aerei o di veicoli spaziali e non utilizzano più i me- talli. Hanno clienti del calibro di Leonardo e Airbus.

La combinazione di imprenditori e personale qualificato, mediante collabora- zioni sempre più strette con le Università e i Centri di ricerca, l’incremento delle lauree cosiddette Stem (scientifiche), la creazione di percorsi facilitati di accesso ai fondi eu- ropei e del Pnrr con bandi mirati a settori specifici ad alta intensità di conoscenza e di tecnologia può portare il Sud a scommette- re su una crescita endogena che parte dal basso, dalle piccole e medie imprese, addi- rittura dalle start-up, che si fanno vettori di conoscenza fecondando in maniera virtuosa la già esistente e resiliente base produttiva di aziende medie.

Imprese che si potrebbero inserire agevol- mente nelle nuove catene del valore mon- diale, in fase di ristrutturazione post pande- mia, con l’obiettivo dell’accorciamento per evitare problemi sistemici di natura geo-po- litica. Quindi un Sud leggero (senza impianti faraonici e cattedrali nel deserto) ma con un portato di intelligenza pesante. Un Sud coacervo di ibridazione tra imprenditoria, ricerca, università con notevoli opportunità derivanti dai fondi europei e dal Pnrr. E che si può candidare a ricevere aziende italiane anche non del Sud di ritorno da investimenti considerati ora a rischio (vedi Cina). Oltre il mare c’è di più.

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