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Ecco gli affari tra Italia e Turchia verso Euro 2032: parla Lorenzo Vita
Italia e Turchia si sono candidate a organizzare insieme l’Europeo che si terrà tra nove anni. Una mossa di “diplomazia dello sport”? Lo abbiamo chiesto al giornalista Lorenzo Vita, in libreria con “L’onda turca” (ed Historica)
Quando Erdogan ha pronunciato il suo “sì” all’ingresso della Svezia nella Nato la prima richiesta che ha avanzato è l’ingresso nell’Ue per il suo paese. A meno di un mese di distanza la Federcalcio italiana e quella turca hanno inviato una lettera alla Uefa in cui si candidano ad organizzare insieme l’Europeo 2032. Impossibile relegare questo evento al campo sportivo e non vedere una traiettoria di avvicinamento che porta Ankara sempre più vicina a Bruxelles.
I legami tra la Turchia e il nostro paese sono forti e di lunga data. Non a caso fu proprio l’ex premier italiano Silvio Berlusconi il primo sostenitore dell’ingresso della Turchia nell’Ue.
Su tutti questi argomenti abbiamo sentito il giornalista esperto di geopolitica, Lorenzo Vita, in libreria con “L’onda turca” (ed. Historica)
Come si è arrivati alla proposta di un europeo condiviso tra Italia e Turchia nel 2032?
La condivisione della candidatura, in realtà, nasce da una questione contingente: Italia e Turchia erano le uniche contendenti dell’edizione 2032. Già dai primi giorni di luglio si vociferava della possibilità della condivisione della candidatura in modo da avere un torneo in cui dividere i costi. Poi, ovviamente, c’è anche il dato dei legami profondi sotto il profilo economico tra Italia e Turchia.
Quindi, in realtà, ci sono due motivazioni. La prima è una motivazione puramente formale, erano rimaste solo loro due a candidarsi e la Uefa ha pensato che potesse essere utile per entrambi i paesi candidarsi insieme per dividere i costi della gestione di un evento del genere.
E poi c’è il legame molto stretto tra Ankara e Roma, si sono anche riavvicinate nel corso degli anni e questo certamente ha influito. Se ci fossero stati governi con posizioni molto distanti o se fossero in atto scontri la candidatura unica non sarebbe potuta esistere.
Possiamo parlare di “diplomazia dello sport”?
Le candidature congiunte di due paesi, di solito, sono sempre il frutto di grande vicinanza. Tendenzialmente è una vicinanza geografica e, chiaramente, anche una vicinanza politica. Tant’è vero che, per esempio, i prossimi europei saranno quelli di Regno Unito e Irlanda, due paesi profondamente connessi.
In precedenza, c’erano stati quelli tra Austria e Svizzera nel 2008, o tra Polonia e Ucraina nel 2012, quindi sono state sempre candidature che hanno avuto un significato di vicinanza diplomatica. Pensiamo anche ai prossimi Mondiali tra Messico, Stati Uniti e Canada.
La realizzazione comune implica anche una interconnessione economica, oltre che logistica e una connessione di uffici, di rapporti, di capacità organizzative. Dunque, queste candidature congiunte possono essere lette anche in un’ottica, più che di avvicinamento diplomatico, di una saldatura diplomatica, perché in realtà l’avvicinamento è precedente e questo ne rappresenta il fiore all’occhiello.
Qual è il ruolo delle connessioni economiche e anche imprenditoriali tra Italia e Turchia in questa decisione?
Non so se vi sia stato un ruolo delle aziende nel processo decisionale. Quello che posso dire è che sicuramente Italia e Turchia rappresentano corrispettivi partner molto, molto, e ancora, molto solidi. L’Italia è sempre stato uno dei principali partner della Turchia a livello commerciale, siamo, storicamente, tra i primi cinque partner commerciali della Turchia.
Questo è sicuramente spia di importanti legami economici. In più, essendo entrambi paesi mediterranei, con investimenti congiunti in alcune aree, è interesse di entrambi gli apparati economici avere una candidatura congiunta.
Però io mi soffermerei sul fatto che anche questo tipo di per il fatto che in Italia in Turchia sono partner commerciali di lunga data, che hanno avuto diciamo alti e bassi ma, sempre rimanendo in tema calcistico, di altissima classifica.
Il processo di adesione della Turchia all’Ue ha una storia molto lunga, più che ventennale. Secondo lei per il 2032 si saranno fatti passi in avanti?
Questa sicuramente è la speranza di Erdogan. Ricordiamo che aveva posto la questione dell’avvicinamento all’Europa per dare l’okay alla Svezia nella Nato. Quindi, il tentativo turco di riattivare il processo di adesione all’Unione europea c’è, l’interesse c’è. Probabilmente nel 2032 si saranno fatti passi in avanti ma è anche vero che i tempi, in questi casi, sono molto lunghi. Il processo di adesione della Turchia è iniziato molti anni fa e si è completamente arenato.
È vero che mancano 9 anni, però diciamo che su queste cose Bruxelles e Ankara si sono spesso divise. Poi ci sono forti spaccature all’interno dell’Europa tra chi non vuole la Turchia e chi sarebbe d’accordo. Ma anche all’interno della stessa Turchia ci sono percezioni un po’ diverse sul ruolo turco in Europa.
Quindi, non credo che ci sarà un’adesione nel 2032 ma sicuramente ci saranno forti passi in avanti, magari non si arriverà all’adesione ma si arriverà ad altri accordi, magari sui visti o su ulteriori benefici o libertà di movimento di merci e di persone. Sicuramente si andrà avanti nel processo di avvicinamento commerciale tra i due paesi.
In questa partita qual è il peso del ruolo della Turchia nel contenimento dell’immigrazione clandestina?
Sicuramente è un elemento centrale perché la Turchia si i è fatta, si è fatta garante del contenimento della rotta migratoria, che ha riempito la cosiddetta ‘rotta balcanica’, la Turchia si è fatta che anche carico dei profughi siriani, ovviamente al costo di miliardi di euro versati dall’Europa. Chiaramente la Turchia rappresenta, tra virgolette, croce e delizia per l’Unione europea.
Da un lato è stato il paese che ha garantito un freno a un’immigrazione incontrollata che poteva essere pericolosissima per i paesi balcanici soprattutto, dall’altro questo ha comportato il fatto di essere alla mercé di Erdogan, che ha potuto sfruttare questa debolezza dell’Europa facendo leva sul fatto che avrebbe potuto aprire il cosiddetto rubinetto dei flussi migratori.