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Tutti i subbugli del governo

Conte Governo

Fatti e tensioni nella maggioranza di Governo che sostiene Conte. I graffi di Damato

Non è lo scherzo di un vignettista ma una notizia quella che Stefano Rolli ha dato sulla prima pagina del Secolo XIX sugli ottomila emendamenti nella competente commissione della Camera al decreto legge del governo finalizzato al rilancio in tempi di coronavirus. E si dovrebbe persino tirare un sospiro di sollievo considerando le prime voci sulle addirittura diecimila proposte di modifica in arrivo da tutte le parti, comprese quelle di maggioranza.

Se uniamo questa notizia, che ha indotto Rolli a pensare o persino già a chiamare l’ambulanza, ai titoli dei maggiori giornali italiani sulla situazione politica e sulla salute del governo si avverte nitidamente quell’aria di crisi di cui in una simpatica trasmissione televisiva il direttore dell’Espresso Marco Damilano parlava ieri sera riferendo di ciò di cui poche ore prima chiacchieravano giornalisti, politici e quant’altri raccolti nel cortile di Montecitorio. Dove sono stati confinati da quando lo storico Transatlantico della Camera è diventato un’appendice dell’aula per consentire ai deputati di partecipare alle sedute e votazioni con le distanze di sicurezza imposte dal covid. Da animali un po’ feroci come ci immaginavano certi politici –“iene dattilografe”, disse una volta di noi giornalisti l’allora potentissimo Massimo D’Alema- siamo stati insomma ridotti ad animali da cortile.

I titoli dei maggiori giornali variano dalla “sfida fra Pd e Conte” del Corriere della Sera  al “processo a Conte” di Repubblica, sempre  da parte del Pd, e allo “stop del Pd al tavolo di Conte” sul Messaggero. Sul  giornale oggi più filogernativo di tutti, che è Il Fatto Quotidiano, il direttore  Marco Travaglio col solito sarcasmo contrariato ha sentito e denunciato puzza d’arrivo a Palazzo Chigi del solito Mario Draghi. E di ricerca di “nuovi mestieri alternativi” per Conte, “come se non fosse già un prof e un avvocato”, ha ricordato Travaglio immedesimandosi orgogliosamente nel presidente del Consiglio ancora in carica, per niente disposto -pare anche a me- a mettersi da parte da solo, con un bel gesto liberatorio per tutti quelli che trafficano contro di lui, sopra e sott’acqua.

Peccato che il direttore del Fatto Quotidiano non si sia accorto, o abbia finto di non accorgersi, del contributo dato proprio dal suo giornale all’ammorbamento del clima politico attorno a Conte con una intervista di Alessandro Di Battista –“un viaggiatore sputasentenze” lo ha appena definito il vecchio Emanuele Macaluso- che ha fatto toccare con mano, diciamo così, lo stato confusionale e conflittuale esistente nel maggiore partito della coalizione di governo. Che non è il Pd ma, stando ai numeri parlamentari usciti dalle elezioni di due anni fa, il Movimento 5 Stelle retto per ora da Vito Crimi, ma con una perdurante presenza fisica e mediatica del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in competizione continua, volente o nolente, col presidente del Consiglio.

Impegnato da ex deputato, ma anche concorrente alla guida del movimento, a liberare  l’Italia dall’”estabilishment”  che la rovinerebbero, costituito dai “Benetton, il presidente di Confindustria Bonomi, gli Elkann e il loro accentramento di potere mediatico, Giovanni Malagò”” e chissà quanti altri rimastigli sulla lingua, Di Battista ha detto che, se fosse dipeso da lui, il secondo governo Conte non sarebbe neppure nato. Ed ha avvertito che “il potere contrattuale” delle 5 Stelle nell’esecutivo non è per niente “proporzionato al 33 per cento preso alle politiche del 2008”. Capito?

Tutti i Graffi di Damato

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