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De Meo Renault Kering

Dall’auto al lusso, perché De Meo lascia Renault per Kering

Luca De Meo lascia Renault e l’automotive per approdare a Kering. Una mossa che in molti leggono come un grido d’allarme per l’industria europea, in crisi da anni e incapace di rilanciarsi. E che adesso adombra la riconversione bellica invece che focalizzarsi sulla tanto proclamata transizione. 

Colpo di scena clamoroso ai vertici dell’industria europea: Luca De Meo, fino a oggi CEO di Renault, lascia non solo l’azienda di Boulogne-Billancourt ma l’intero comparto.

Secondo quanto riferisce Le Figaro, approderà al timone del colosso del lusso francese Kering dove l’ad François-Henri Pinault gli sta facendo spazio per provare a rilanciare il Gruppo, che si trova in un momento di profonda crisi. Le dimissioni saranno effettive dal 15 luglio.

La notizia, annunciata nelle scorse ore, ha colto di sorpresa tutto il settore, dal momento che De Meo non è un manager qualunque, ma uno dei punti di riferimento per l’intero mondo automotive, che ha più volte indicato la strada per il settore quando altri brancolavano nel buio.

CHI È LUCA DE MEO

De Meo nasce a Milano nel 1967. Dopo la laurea in Economia Aziendale alla Bocconi — dove ha discusso una tesi sull’etica d’impresa — ha iniziato la sua carriera in Renault nel 1992, per poi passare a Toyota Europa. Nel 2002 sbarca nel Gruppo Fiat e diventa ben presto il braccio destro di Sergio Marchionne, con ruoli dirigenziali su Lancia, Fiat, Alfa Romeo e Abarth. Nel 2009 entra nel gruppo Volkswagen come direttore marketing, prima per il marchio VW e poi per l’intero gruppo, oltre a diventare membro del board Audi. Da novembre 2015 a gennaio 2020 è presidente di Seat. Dal luglio 2020 guidava Renault, dove ha orchestrato il rilancio finanziario e strategico del gruppo, puntando su modelli ibridi ed elettrici.

Un manager capace di inanellare successi su successi in ciascuna azienda in cui ha messo piede, dal rilancio della Fiat 500 alla creazione di Cupra in seno a VW, fino alla ristrutturazione di Renault che ha risalito la china quando tutto sembrava perduto.

E che ha provato a tracciare, da presidente di Acea, una prospettiva di rilancio per il mercato europeo: un’alleanza focalizzata sulla produzione di automobili elettriche, sul modello di Airbus, per far fronte alla concorrenza cinese, proposta poi naufragata per l’opposizione dei Volkswagen.

PERCHÉ DE MEO LASCIA RENAULT PER KERING

Il direttore diQuattroruote Gian Luca Pellegrini invita a leggere le dimissioni di De Meo da Renault come un manifesto. Dopo aver risollevato un colosso quasi piegato dalla crisi, grazie al piano “Renaulution” che ha riportato il titolo  a +90 % in cinque anni, De Meo sceglie ora di abbandonare un sistema che vive una crisi culturale irreversibile. Il suo gesto si spiegherebbe col sospetto che il settore auto europeo non tornerà mai più a essere un simbolo autorevole: messo in crisi dalle politiche ecologiste e castrato dalla burocrazia, il motore ha perso, forse definitivamente, il suo status symbol.

Per De Meo passare al lusso potrebbe essere un modo per tornare a un settore in grado di veicolare legittimazione sociale, abbandonando il processo d’espiazione in cui sembra ormai essersi impantanato il mondo dell’auto. Meglio, per De Meo, uscire di scena a testa alta che restare custode di un’industria in declino, mentre altrove si spalancano nuovi orizzonti di libertà e influenza.

Da non sottovalutare inoltre la recente notizia che Renault starebbe, in collaborazione con una pmi del settore difesa, una sede produttiva in Ucraina per realizzare droni a uso sia delle forze di Kiev sia, in seguito, delle stesse truppe francesi, come annunciato dal ministro della Difesa Sébastien Lecornu.

Un’iniziativa che proietta l’azienda in un ambito bellico e geopolitico delicato, ben diverso dall’universo industriale tradizionale dell’auto, e che può aver rappresentato per De Meo l’ulteriore conferma che il settore ha smarrito la propria vocazione.

COSA FA IL GRUPPO KERING

Kering è uno dei maggiori protagonisti mondiali dell’industria del lusso. Fondato da François Pinault, il gruppo francese controlla marchi in settori che spaziano da moda e pelletteria a gioielleria e orologeria di alta gamma. Il suo business è fortemente orientato ai mercati globali, con focus su Stati Uniti, Asia e Medio Oriente.

Tra i marchi più conosciuti del portafoglio Kering spiccano Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga,  Alexander McQueen, Brioni, Pomellato, Boucheron, Qeelin, Girard‑Perregaux e Ulysse Nardin (orologeria)

Fino a oggi le redini operative erano in mano a François‑Henri Pinault, figlio del fondatore e attuale presidente del gruppo. Con il passaggio a De Meo, Kering rinnova l’impostazione manageriale separando il ruolo di presidente da quello esecutivo.

LA CRISI DI KERING

Negli ultimi trimestri Kering ha mostrato segnali di difficoltà principalmente a causa del rallentamento del suo brand di punta, Gucci, che ha registrato vendite in calo per eccesso di inventario e un posizionamento percepito come meno aspirazionale dai clienti più giovani.

A questo si è aggiunta una domanda in frenata nei principali mercati asiatici, dove la ripresa dei viaggi post‑pandemia si è rivelata più lenta del previsto. L’elevata concentrazione di ricavi su pochi marchi chiave ha esposto il gruppo a una maggiore volatilità, mentre le strategie di diversificazione in alta gioielleria e orologeria non hanno ancora compensato del tutto il vuoto lasciato dalla flessione di Gucci.

In un contesto di costi operativi in aumento e concorrenza sempre più agguerrita, De Meo dovrà dunque rilanciare innovazione e appeal dei suoi brand per invertire la rotta.

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