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I dazi Usa e il ruolo delle big tech

L’Unione europea dipende dai servizi offerti dalle big tech americane. Una medaglia con due facce che potrebbe essere giocata nella guerra dei dazi inaugurata dall’amministrazione Trump 

Nuovo (definitivo?) dietrofront di Donald Trump in materia di dazi alle merci europee. Il Presidente americano aveva minacciato di imporre dazi alle importazioni del 50% a partire dal prossimo 1° giugno. Dopo una telefonata con la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen l’inquilino della Casa Bianca ha deciso di congelare i dazi reciproci e confermare la proroga di 90 giorni decisa lo scorso 9 aprile. Di dazi, dunque, si dovrebbe tornare a parlare dal prossimo 9 luglio, ammesso che Trump non cambi nuovamente idea. “L’Unione europea e gli Stati Uniti intrattengono il rapporto commerciale più stretto e importante al mondo. L’Europa è pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio”, ha scritto la presidente della Commissione europea in un tweet su X.

NESSUNA GUERRA TARIFFARIA TRA USA E UE

Le merci prodotte dalle economie europee ed esportate negli Usa, in realtà, subiscono tariffe 10 per cento su tutto l’export e dazi del 25 per cento sull’export di acciaio, alluminio e su tutto il comparto automobilistico.

I leader europei, a iniziare dalla presidente von der Leyen, hanno rifiutato l’idea di scendere sul terreno di una guerra dei dazi reciproci, una strada per portare gli Usa a trattare potrebbe arrivare dalle normative europee sui servizi digitali.

LA DIPENDENZA EUROPEA DALLE BIG TECH AMERICANE

L’Unione europea dipende in larga misura dai servizi digitali forniti dagli Stati Uniti e dai colossi tecnologici di Google, Amazon, Apple, Meta e Microsoft.

Servizi indispensabili anche per le Pubbliche amministrazioni e l’intero impianto industriale ed economico europeo. La Commissione Europea, per ristabilire il controllo sui dati europei  ha introdotto normative più rigide, come il Digital Markets Act (DMA), volto a contrastare gli abusi di potere da parte dei cosiddetti “gatekeeper” digitali, e il Digital Services Act (DSA), che impone obblighi più severi in materia di trasparenza, moderazione dei contenuti e tutela degli utenti.

Lo scorso 23 aprile la Commissione ha multato Apple per 500 milioni di euro a causa di pratiche anticoncorrenziali nell’App Store, e Meta per 200 milioni per irregolarità legate alla pubblicità personalizzata. A breve Bruxelles dovrebbe pronunciarsi nei confronti di Alphabet, segno che l’intenzione è quella di usare la regolamentazione non solo come strumento normativo, ma anche come leva geopolitica.

BIG TECH: LA CLAUSOLA BUY EUYROPEAN

Una strada è l’introduzione di clausole “Buy European” ai settori considerati sensibili, come suggerito dal vicepresidente della Commissione europea con delega al mercato interno, Stéphane Séjourné. Ma non solo, tra le misure al vaglio vi è l’imposizioni di localizzazione dei dati, norme più restrittive per l’accesso ai servizi cloud tramite politiche come e possibili revoche delle autorizzazioni già concesse. Insomma, rendere più difficile il lavoro delle Big Tech statunitensi in Europa.

I CINQUE IMPEGNI DIGITALI DI MICROSOFT

Non a caso Microsoft ha cercato di giocare d’anticipo proponendo cinque “impegni digitali” per andare incontro alle esigenze della Commissione:

  • sostegno alla creazione di infrastrutture digitali locali;
  • piena conformità alle normative europee e trasparenza operativa;
  • rispetto dei diritti fondamentali, con particolare attenzione alla protezione dei dati personali;
  • collaborazione con partner tecnologici locali;
  • garanzia di interoperabilità e apertura dei servizi cloud.

LE POLITICHE FISCALI: LA DIGITAL SERVICES TAX PER LE BIG TECH

Un ulteriore strumento a disposizione dell’Europa è quello della fiscalità. Le aziende tecnologiche che generano profitti consistenti potrebbero essere gravate dalla Digital Services Tax (DST).

L’obiettivo è duplice: da un lato, riequilibrare le condizioni di concorrenza tra le aziende europee e i giganti tecnologici americani; dall’altro, far sì che le imposte riflettano con maggiore precisione il luogo in cui viene effettivamente creato il valore economico.

Tuttavia, l’adozione di una tassa digitale uniforme a livello europeo è un processo complesso e qualsiasi mossa europea va valutata anche in un’ottica strategica, oltre che fiscale. Il digitale si configura sempre più come uno spazio di confronto geopolitico, fiscale e tecnologico, dove si gioca una parte rilevante della futura autonomia dell’Europa.

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