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Manovra 2026

Manovra 2026, perché il taglio delle tasse non convince Bankitalia, Istat, Upb e Corte dei Conti

La manovra 2026 taglia l’Irpef e rivede Isee e affitti brevi, ma dalle audizioni in Parlamento emerge che i benefici si concentrano sui redditi medio-alti, con un alto rischio di mantenere le diseguaglianze immutate

Taglio dell’Irpef, misure sugli affitti brevi, revisione dell’Isee, neutralizzazione del fiscal drag: sulla mini-manovra da 18,7 miliardi del governo Meloni, su cui pesano i 40 miliardi del Superbonus, piovono le critiche di Bankitalia, Istat, Upb e Corte dei Conti.

ll ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti difende la legge di bilancio 2026, pensata a suo dire per tutelare i redditi medi, ma i vantaggi monetari sono spesso modesti in rapporto alla disponibilità e si concentrano sulle fasce alte del campione interessato, lasciando irrisolti i problemi dalla progressività fiscale e la frammentarietà delle detrazioni, oltre al rischio di possibili effetti indesiderati sul mercato degli affitti.

CHI BENEFICIA DAVVERO DEL TAGLIO IRPEF

Secondo le stime riportate durante le audizioni istituzionali, a beneficiare direttamente della riduzione dell’aliquota dal 35% al 33% sarebbero poco più di 14 milioni di contribuenti. Il beneficio annuo medio per contribuente è stimato intorno ai 230 euro; calcolando le famiglie, Istat indica circa 11 milioni di famiglie beneficiarie (circa il 44% delle famiglie residenti) con un beneficio medio familiare di circa 276 euro.

Queste medie però nascondono grandi disomogeneità: ordinando le famiglie per reddito disponibile equivalente e dividendole in quinti, oltre l’85% delle risorse va ai quinti più ricchi, con il guadagno medio che cresce dal fondo alla cima della distribuzione (da circa 102 euro per il primo quinto fino a 411 euro per l’ultimo quinto). In termini assoluti il vantaggio tende dunque a concentrarsi sui redditi medio-alti.

LE STIME DELL’ISTAT

Nell’audizione davanti alle Commissioni Bilancio, il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli ha confermato che la misura raggiunge una fetta ampia di contribuenti ma con un beneficio che, per tutte le classi di reddito, resta inferiore all’1% del reddito familiare disponibile. Istat sottolinea inoltre come la distribuzione dei vantaggi sia fortemente sbilanciata verso i quinti superiori della popolazione, rafforzando l’idea che la manovra non sia uno strumento di riequilibrio delle disuguaglianze.

BANKITALIA: EFFETTO MODESTO SUL REDDITO DISPONIBILE

Anche Bankitalia, attraverso il vice capo del Dipartimento Economia e Statistica Fabrizio Balassone, ha evidenziato che le misure in tema di Irpef e sostegno al reddito non producono «variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito».

La riduzione dell’aliquota favorisce i nuclei nei due quinti più alti, ma la variazione percentuale del reddito disponibile è modesta. In sintesi: chi è già in una posizione reddituale favorevole trae un vantaggio maggiore in valore assoluto, ma l’impatto aggregato sulla disuguaglianza è limitato.

UPB: CHI CI GUADAGNA (E DI QUANTO)

Anche l’Ufficio parlamentare di bilancio è esplicito: la riduzione di due punti riguarderà poco più del 30% dei contribuenti (circa 13 milioni) e a regime comporterà una perdita di gettito di circa 2,7 miliardi. Audita al Parlamento, la presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, ha sottolineato che circa il 50% del risparmio d’imposta va a contribuenti con reddito superiore ai 48.000 euro, che costituiscono solo l’8% del totale.

Le simulazioni dell’Upb forniscono anche stime per categoria professionale: il beneficio medio è di 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati, 23 per gli operai; per i lavoratori autonomi 124 euro e per i pensionati 55 euro.

L’Upb osserva inoltre che il correttivo previsto per redditi oltre i 200.000 euro sterilizza solo in parte il vantaggio: riguarda circa un terzo dei contribuenti di quella fascia (circa 58 mila persone) e la riduzione media delle detrazioni per questi contribuenti è di circa 188 euro, ben al di sotto del massimo beneficio possibile (440 euro). L’Upb conclude che le riforme 2021–26 hanno in alcuni casi accresciuto la progressività dell’Irpef, ma che il risultato complessivo della manovra è una concentrazione dei benefici sui redditi medio-alti e un sistema di detrazioni ancora frammentato e poco trasparente.

LA CORTE DEI CONTI: RISORSE ALTE AI PIÙ RICCHI E RISCHIO AFFITTI “IN NERO”

Ai rilievi si aggiunge anche la Corte dei conti, che evidenzia come il 44% delle risorse destinate al taglio Irpef sarebbe riconducibile a contribuenti con reddito compreso tra 50 e 200 mila euro. Inoltre, segnala che il correttivo per i redditi sopra i 200 mila euro non neutralizza completamente il risparmio: una quota di tali contribuenti manterrebbe comunque il beneficio massimo di 440 euro per via della composizione delle detrazioni.

Particolare rilievo ha assunto l’osservazione della Corte dei conti sulla norma sugli affitti brevi: l’innalzamento dell’aliquota della cedolare secca dal 21% al 26% — da alcuni pensata come aumento della pressione fiscale sugli affitti turistici — potrebbe paradossalmente «incentivare il nero», perché una differenza così netta tra regimi fiscali può spingere parti del mercato verso locazioni non dichiarate.

IL NUOVO ISEE: CHI VINCE E CHI PERDE

La revisione dell’Isee contenuta nella manovra innalza la franchigia sulla prima casa e modifica la scala di equivalenza. Il risultato segnalato dai dati è che le famiglie proprietarie di casa — spesso con redditi più alti o con maggiore patrimonio immobiliare — traggono vantaggio, mentre le famiglie in affitto, che includono una quota rilevante di giovani e persone straniere, possono ritrovarsi penalizzate.

L’Istat evidenzia come la povertà assoluta colpisca molto più gli inquilini che i proprietari (cifre poste a confronto nelle audizioni), con il rischio che le misure distributive favoriscano chi possiede immobili.

IL NODO SUL FISCAL DRAG

Il governo presenta la manovra anche come neutralizzazione del fiscal drag: l’idea è che, dopo l’inflazione, la tassazione non debba gravare più di prima.

Ma le analisi tecniche mostrano che la neutralizzazione è parziale e concentrata: solo i redditi fino a 32 mila euro avrebbero recuperato integralmente il potere d’acquisto perso dal 2019 al 2023; per chi sta tra 32 e 45 mila euro il recupero sarebbe parziale e oltre quella soglia scomparirebbe.

LA DIFESA DEL GOVERNO

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha difeso la manovra sostenendo che la riduzione dell’aliquota “tutela i contribuenti con redditi medi” e che il provvedimento interesserebbe il 32% dei contribuenti con un beneficio medio atteso di 218 euro all’anno, fino a 440 euro per le fasce più alte coinvolte. Il ragionamento del governo è che ampliando la platea dei beneficiari della riduzione del cuneo fiscale si supportano i redditi medi e si stimola la domanda aggregata.

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