L’atto d’accusa della Corte penale internazionale e la posizione del Governo Meloni sul caso Almasri
Quattordici pagine. E’ il documento presentato dalla Corte penale internazionale in cui chiede il deferimento dell’Italia all’Assemblea degli Stati e al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il motivo dell’accusa riguarda il mancato arresto di Osama Almasri, il generale libico accusato di torture e crimini contro l’umanità. L’atto del procuratore Karim Khan ricostruisce gli eventi avvenuti tra il 19 e il 21 gennaio, dalla cattura di Almasri a Torino fino alla sua espulsione e rimpatrio in Libia. Secondo la Cpi, l’Italia non avrebbe rispettato il proprio obbligo di cooperazione, permettendo il ritorno in patria dell’uomo e mettendo così a rischio vittime, testimoni e le loro famiglie.
LA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO
Il governo italiano sta preparando una memoria difensiva da inviare alla Cpi entro il 17 marzo. Il Ministero della Giustizia sta valutando se rispondere con una strategia di contrattacco o limitarsi a una difesa delle proprie azioni. Il documento in preparazione mira a evidenziare alcune incongruenze nelle procedure seguite per il mandato di arresto di Almasri. Inoltre, il governo sottolinea che la richiesta della Cpi sarebbe stata letta dalle autorità italiane solo il 20 gennaio, mentre l’Aja sostiene che l’Italia fosse stata informata già la sera del 18 gennaio tramite l’ambasciata.
LE CRITICHE DELLA CPI
Il procuratore Karim Khan contesta la giustificazione del governo italiano, sostenendo che eventuali ritardi nella trasmissione della richiesta non esonerano l’Italia dal rispetto dell’obbligo di collaborazione. La Corte sottolinea che il mancato coordinamento interno non può essere una motivazione valida per non adottare le misure necessarie all’arresto di Almasri. La Cpi contesta tra l’altro la decisione della Corte d’Appello di Roma, che ha scarcerato il generale libico a causa di una mancata interlocuzione tra tribunale e ministero. Secondo l’accusa, il governo avrebbe dovuto rispondere tempestivamente alla richiesta del procuratore generale e trasmettere le informazioni necessarie per consentire alla Corte d’Appello di riconsiderare la misura cautelare.
KARIM KHAN, GIURISTA DI FAMA INTERNAZIONALE
Nato nel 1970 a Edimburgo, Karim Khan proviene da una famiglia multiculturale. È figlio di un dermatologo pachistano e di un’infermiera britannica. Cresciuto nella corrente musulmana riformista Ahmadiyya, considerata eretica in Pakistan, ha affrontato fin dall’infanzia questioni legate all’identità e alla giustizia. Suo fratello, Ahmad Khan, è un ex deputato conservatore britannico. Entrambi hanno studiato presso il prestigioso King’s College di Londra, dove Karim ha gettato le basi della sua carriera legale.
Khan ha iniziato il suo percorso come consigliere legale presso i tribunali internazionali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda, acquisendo esperienza in casi complessi di diritto penale internazionale. Nel corso della sua carriera, ha rappresentato figure controverse, tra cui Charles Taylor, ex presidente della Liberia, accusato di crimini contro l’umanità.
LE DECISIONI CHE HANNO SEGNATO IL SUO MANDATO
Nel marzo 2023, Karim Khan ha emesso un mandato di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin, accusandolo di crimini di guerra per la deportazione di migliaia di bambini ucraini. Questo gesto ha suscitato un’ampia risonanza a livello globale, rafforzando il ruolo della CPI come istituzione chiamata a perseguire i più gravi crimini internazionali. Nel maggio scorso ha richiesto l’arresto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, del ministro della difesa Yoav Gallant e di tre leader di Hamas, in un’indagine su presunti crimini di guerra.
Una delle ultime contestate decisioni della Corte penale internazionale è stata emessa nel novembre 2024, con il mandato di arresto proprio per il premier israeliano Netanyahu.