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Caso Almasri, cosa hanno detto Nordio e Piantedosi in Parlamento? Il testo integrale

Almasri Piantedosi Nordio

Il ministro della Giustizia: “Pasticcio della Cpi” su Almasri. E ai giudici: “Sciatti commenti. Noi andiamo avanti”

Le polemiche – come era prevedibile – non sono mancate, e continueranno a esserci. Assente la premier Giorgia Meloni, l’informativa urgente del Governo in Parlamento “in merito alla richiesta di arresto della Corte penale internazionale e successiva espulsione del cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish” ha visto come protagonisti il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi.

Ecco il testo integrale degli interventi dei due ministri alla Camera dei Deputati.

L’INFORMATIVA DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, CARLO NORDIO

Ministro della Giustizia. “Una breve ricostruzione dei fatti preliminari. Il 18 gennaio 2025, la Corte penale internazionale emetteva un mandato di arresto internazionale nei confronti di Osema Almasri Najeem per una serie di reati di cui vi parlerò dopo. Il mandato di arresto veniva eseguito dalla Digos di Torino domenica 19 gennaio 2025 alle ore 9,30. Una notizia informale dell’arresto veniva trasmessa via e-mail da un funzionario dell’Interpol a un dirigente del Dipartimento degli affari di giustizia del nostro Ministero alle ore 12,37, sempre della domenica 19 gennaio 2025. Si trattava, come ho detto, di una comunicazione assolutamente informale, di poche righe, priva di dati identificativi, priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese. Non vi era nemmeno allegata la richiesta di estradizione.

Il 20 gennaio, invece, alle ore 12,40 il procuratore generale di Roma trasmetteva il complesso carteggio a questo Ministro; quindi, ufficialmente il carteggio è arrivato al Ministero protocollato il 20 gennaio alle ore 12,40. Successivamente, alle ore 13,57 l’ambasciatore dell’Aja trasmetteva al Servizio affari internazionali del Ministero e al Dipartimento per gli affari di giustizia la richiesta di arresto provvisorio del 18 gennaio 2025. Conviene sinora notare che la comunicazione della questura di Torino era pervenuta al Ministero ad arresto già effettuato e, dunque, senza la preventiva trasmissione della richiesta di arresto a fini estradizionali emessa dalla CPI al Ministro, come prescritto dagli articoli 2 e 4 della legge n. 237 del 2012.

In data 22 gennaio perveniva al gabinetto del Ministro, per il tramite del Dipartimento per gli affari di giustizia, il provvedimento di scarcerazione della corte d’appello, scarcerazione che era stata data il 21 gennaio su istanza del difensore. Prima di entrare nel merito della vicenda, devo informare che il giorno 28 gennaio, alle ore 16,50, è stata consegnata al sottoscritto un’informativa ai sensi dell’articolo 335 del codice di procedura penale, dalla quale si evince che l’onorevole Carlo Nordio è indagato per i reati di favoreggiamento e omissione di atti di ufficio. La qualità di indagato, iscritto nel registro citato, è sottolineata in grassetto nell’informazione di garanzia. Devo dire che ho vista con una certa tenerezza questa sottolineatura che sarei persona indagata, perché un pubblico ministero, avendolo fatto per 40 anni, sa benissimo che, se è iscritto nel registro del 335, è persona indagata, non è iscritto all’associazione dei bocciofili.

Questa notifica, pervenuta il giorno prima di quella fissata per le comunicazioni in Parlamento – per questo l’ho detto, è pervenuta il giorno prima della comunicazione che era stata programmata qui -, ha determinato un momento di riflessione, perché, sia in ossequio all’indipendenza e alle prerogative della magistratura, sia anche in relazione alla posizione di indagato, che, come tale, sapete, deve essere sempre assistito da un difensore, presentarsi il giorno dopo senza avere quantomeno interloquito con chi di dovere poteva essere un atto anomalo. Naturalmente, ho dimostrato subito la disponibilità ad essere ascoltato il prima possibile – e infatti eccomi qui – proprio per chiarire questa vicenda, sulla quale, come vedrete, ci sono state tantissime incertezze, tantissime inesattezze e anche talune grossolane contraddizioni da parte degli uffici, come vedremo.

Prima di tutto è necessario stabilire i poteri del Ministro della Giustizia così come sono disciplinati dagli articoli 2 e 4 della legge n. 237 del 2012 per i casi analoghi a quello in oggetto, perché senza di questi capiremmo poco di quanto sta accadendo. In realtà, si tratta di una disciplina molto complessa, che fino a oggi non ha mai trovato applicazione e sulla quale, com’è noto, in questi giorni si è acceso anche un dibattito con diverse conclusioni tra i giuristi. Addirittura un autorevole giurista, che potremmo chiamare di sinistra, ha sostenuto, l’altro giorno, che non c’era assolutamente la necessità che il Ministro approcciasse la corte d’appello, perché la corte d’appello aveva tutti i poteri in sé per poter convalidare quell’arresto.

Questo per dire che è una materia abbastanza oggetto di discussione. Comunque, l’articolo 2 prevede testualmente che i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale siano curati in via esclusiva dal Ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito. Il Ministro della Giustizia, ove ritenga ne ricorra la necessità – ove ritenga ne ricorra la necessità – concorda la propria azione con altri Ministri interessati, con altre istituzioni o con altri organi dello Stato, e vi lascio immaginare quali possano essere questi altri organi dello Stato. Al Ministro della Giustizia compete, altresì, di presentare alla Corte, ove occorra, atti e richieste.

Da questa formulazione si evince che il ruolo del Ministro non è semplicemente quello di un organo di transito delle richieste che arrivano dalla Corte; non è un passacarte, è un organo politico che deve meditare il contenuto di queste richieste in funzione di un eventuale contatto con gli altri Ministeri, con le altre istituzioni e con gli altri organi dello Stato. Questo è ciò che dice la legge, non è che arriva il fascicolo e io faccio da passacarte e lo passo. No, ho il potere-dovere di interloquire con altri organi dello Stato, laddove se ne presenti la necessità. Come vedremo, questa necessità si presentava eccome.

Tanto più la richiesta proveniente dalla Corte penale internazionale è articolata e complessa, tanto maggiore deve essere la riflessione, anche una riflessione critica, sul suo procedere logico, sulla sua coerenza argomentativa, sui dettagli degli elementi citati e sulla coerenza delle conclusioni cui perviene. Coerenza delle conclusioni cui perviene la decisione della Corte. Come vedremo per tabulas, questa coerenza manca assolutamente e quell’atto, secondo noi, è radicalmente nullo.

Mentre il Ministero procedeva all’esame di questa richiesta pervenuta in lingua inglese, con svariati allegati in lingua araba, la corte d’appello di Roma, ritenendo che l’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria nella procedura di consegna sul mandato della CPI debba ritenersi escluso – relativo alla compressione dello status libertatis delle persone – ordinava la scarcerazione, aderendo all’istanza difensiva, di cui, peraltro, il Ministero non poteva e non doveva avere conoscenza, nel rispetto del diritto della difesa e delle prerogative di indipendenza e di autonomia della magistratura.

Adesso veniamo al punto fondamentale. Fin dalla prima lettura, peraltro in lingua inglese (…), l’atto è arrivato in lingua inglese senza essere tradotto (…). Sin dalla prima lettura, il sottoscritto notava tutta una serie di criticità sulle richieste di arresto che avrebbero reso impossibile una immediata richiesta alla corte d’appello. Infatti, vi prego di prestare attenzione, nella prima parte del provvedimento della Corte si dava atto che il 2 ottobre 2024 l’organo dell’accusa della Corte aveva richiesto l’emissione di un mandato di arresto nei confronti di Osama Almasri Najeem per delitti contro l’umanità e altri delitti particolarmente gravi avvenuti nel carcere libico di Mitiga, e commessi secondo l’accusa – e, quindi, questa è l’accusa che chiede – a partire all’incirca dal febbraio 2015 fino al giorno in cui era pervenuta la richiesta dai membri delle Forze speciali di dissuasione.

Peraltro, nel preambolo invece il provvedimento de quo menzionava la situazione nella Giamahiria Araba Libica a partire dal febbraio 2011. Nel febbraio 2011 Gheddafi era ancora al potere e, quindi, già qualcosa non quadrava. L’idea che un torturatore anti-gheddafiano potesse torturare qualcuno mentre Gheddafi era al potere doveva illuminarci un poco. Dalla lettura dei paragrafi nn. 5 e 7 emergeva un’incertezza assoluta sulla data dei delitti commessi, prospettandosi, da un lato, un inizio nel febbraio 2011, allorquando erano iniziati i moti violenti, e, dall’altro, il febbraio 2015, data cui faceva riferimento l’atto di accusa all’esame della stessa Corte penale.
In poche parole, in questo mandato di arresto si oscillava dal 2011 al 2015 e non si riusciva a capire se il reato fosse iniziato nel 2011 o nel 2015; non è una cosa di poco conto, trattandosi di un reato continuato e poiché in quei 4 anni, secondo quanto espresso dalla stessa Corte, sarebbero stati commessi numerosi atti di stupro, di violenza, di aggressione, di omicidio, eccetera.

Nel paragrafo n. 13 la Corte penale segnalava, tra l’altro, che la terza giudice – la Corte è composta di tre giudici -, la giudice Socorro Flores Liera si era espressa in disaccordo con i colleghi, ritenendo che i crimini presunti descritti nella richiesta – cito tra virgolette – non siano sufficientemente collegati alla situazione che ha comportato la competenza della Corte tramite il deferimento del Consiglio di sicurezza.

Allora, questa dissenting opinion non è stata allegata al primo atto che ci è stato mandato e vedremo poi come l’avremo. Il provvedimento della CPI segnalava anche che avrebbe allegato appunto questo parere contrario, che però non è pervenuto. Nel prosieguo della parte cosiddetta motiva, la Corte penale continuava a far riferimento ai fatti commessi tra il febbraio 2015 e il marzo 2024, periodo – come si è visto – indicato nello stesso atto d’accusa. Ci sono tutte le trascrizioni: durante il periodo di tempo considerato, compreso tra febbraio 2015 e marzo 2024, diverse migliaia di persone erano detenute in queste strutture, eccetera…

Questi concetti venivano ribaditi ai paragrafi dal 27 al 90, quindi una sessantina di paragrafi, in cui vi è tutta la sequenza di questi crimini orribili addebitati al catturando. Ecco allora, con un incredibile e incomprensibile salto logico e con una contraddizione che, almeno secondo la procedura penale italiana, renderebbe viziato l’atto, le conclusioni del mandato di arresto risultavano completamente differenti sia rispetto alla parte motiva sia rispetto alle stesse conclusioni dell’accusa. Infatti, al paragrafo 101 si legge testualmente: per i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, i crimini di persecuzione commessi nella prigione di Mitiga dal 15 febbraio 2011 in poi.

Allora, se a queste contraddizioni si aggiungono le perplessità manifestate dalla giudice dissenziente Socorro Flores Liera, delle cui argomentazioni noi non avevamo contezza – come ho detto – per non esserci stato tempestivamente trasmesso dalla CPI il relativo verbale, la trasmissione richiesta al procuratore generale presso la corte d’appello, prima di aver risolto queste discrasie e queste incongruenze, sarebbe stata, da parte mia, non solo inopportuna, ma prima ancora illegittima, perché sarebbe stata fondata su un arresto che, secondo i principi generali della procedura penale, era irrazionale e contraddittorio nell’elemento fondamentale della struttura del reato, che è quello del tempo del delitto commesso.

Quattro anni di differenza in un reato continuato, tra il 2011 e il 2015, in cui sarebbero stati commessi tutti i reati più infami di questo mondo, non sono un errore materiale; è un vizio assoluto nel contenuto della struttura del reato, che viene esposta in un capo di imputazione, in un mandato di cattura internazionale, che poi si rivela completamente sbagliato. E perché si rivela sbagliato? Perché lo dice la Corte stessa… E adesso arriviamo alla seconda parte della vicenda che è quella ancora più interessante.

Allora a questo punto queste perplessità trovano conferma proprio da parte della stessa Corte che, senza neanche avvertire il nostro Governo della fissazione di una nuova udienza e senza comunicarci nemmeno l’esito, correggeva o, meglio, ribaltava completamente il precedente mandato di arresto, qualificando il secondo pronunciamento come una mera integrazione formale. Infatti, questo nuovo e diverso pronunciamento dice che la Corte si è nuovamente riunita il 24 gennaio, quindi 4 giorni dopo, e non ci è stato mandato, lo abbiamo ottenuto guardando il sito della Corte – anche qui in lingua inglese – e, come dicevo, allo stato attuale non ci è nemmeno stato inviato.

Allora, questo atto ufficiale, che è intitolato “Corrected version of the warrant of arrest for Mr. Osama Almasri” (corretta versione del mandato di arresto), che cosa dice? Allora, cambia completamente tutta una serie di capi di imputazione. Ho qui una tavola sinottica, dove sono esplicitate tutte le differenze sui capi di imputazione tra la versione del 2018 e quella del 2024. Sono lunghe, sono prolisse, le metto a disposizione.

Ne cito alcune, nelle contestazioni, relative al paragrafo 2.1, lettera g), dello Statuto, sono contestati tutti i reati possibili e immaginabili; bene, sono stati tutti cambiati, ma – ma, e qua voglio arrivare – il vizio genetico dell’ordinanza del 18 gennaio è certamente il mutamento della data del commesso reato. Perché? Perché nella parte dispositiva (PQM) dell’ordinanza del 24 gennaio, per il mandato di arresto si dice for crime against humanity of persecution pursuant to article 7 of the Statute – eccetera eccetera – commessi dal 15 febbraio 2015 onwards; cioè la Corte si riunisce 5 giorni dopo per dire che il primo warrant, il primo mandato di arresto era completamente sballato, perché aveva sbagliato niente meno che la data del commesso reato e noi ce ne eravamo accorti.

Se noi non ce ne fossimo accorti e se noi avessimo inviato quella richiesta alla corte d’appello italiana, probabilmente ce l’avrebbe rimandata indietro dicendo che non c’eravamo accorti che quel mandato di arresto era assolutamente contraddittorio. Il fatto che sia contraddittorio ce lo dice la stessa Corte – ripeto – perché ha fatto una riunione apposta per cambiare la data del delitto commesso dal 2011 al 2015 e non è un errore materiale, dal 20 al 21 aprile, si tratta di 5 anni di crimini, che erano stati contestati in 45 paragrafi del primo mandato di arresto e che sono svaniti nel nulla perché, dal 2011 al 2015 – insomma 4 anni di reato continuato – non è una cosa da poco.

E questo trova anche conferma – e questo, per certi aspetti, è anche forse la cosa più grave – nel fatto che la giudice Liera si era accorta di questo e nella sua dissenting opinion aveva detto che mancava la giurisdizione. La giudice, la terza giudice componente, ha detto che la Corte non aveva giurisdizione per fare quello che ha fatto.
Cito testualmente: sulla base delle limitate informazioni, non è possibile valutare se i combattimenti, durante il periodo delle presunte condotte, siano stati in un conflitto armato non internazionale, per il quale è richiesto un livello sufficiente di intensità delle ostilità tra due o più attori armati sufficientemente organizzato o se il presunto conflitto armato non internazionale sia stato lo stesso o piuttosto un conflitto diverso da quello che ha avuto luogo all’inizio del 2011.

Poi aggiunge, frase tremenda: sembra che ci sia uno sforzo per forzare un collegamento con gli eventi che hanno fatto scattare la giurisdizione della Corte internazionale che, se accettato in pratica, significherebbe che la Corte può continuare a esercitare la sua giurisdizione indefinitamente su una parte non statale. Questo non l’ho detto io, questo lo ha detto la terza giudice che ha manifestato la sua dissenting opinion proprio perché si era accorta di queste gravissime anomalie..

Allora, alla luce di queste considerazioni – sono, ripeto, squisitamente giuridiche – credo che ogni altra mia iniziativa sarebbe stata impropria e frettolosa nei confronti della corte d’appello e che anzi avrebbe dimostrato una carenza di attenzione da parte mia nel non aver rilevato queste gravissime anomalie, che sono state – ripeto – rilevate dalla stessa Corte – ancora una volta ripeto -, che si è riunita apposta per cambiare mezza struttura del primo atto che era stato notificato a noi e sulla base del quale io avrei dovuto chiedere quel provvedimento. È stata la Corte che si è corretta, non sono io che ho rilevato difetti della Corte, li ha rilevati lei e ha cercato di cambiarli 5 giorni dopo, perché si era accorta che aveva fatto un immenso pasticcio.

La ragione di questo pasticcio frettoloso sarà discussa, sarà forse trovata e sarà sospettata in altre sedi e situazioni. Non so perché abbiano agito in un modo così frettoloso da sbagliare completamente un atto così solenne come un mandato di cattura internazionale, e comunque aggiungo e concludo che è mia intenzione attivare i poteri che la legge mi riconosce e chiedere alla Corte penale giustificazione circa le incongruenze di cui è stato mio dovere riferire.

Vorrei concludere. Capisco e rispetto ovviamente le ragioni dell’opposizione che esercita il suo compito e il suo dovere in modo anche aggressivo, “la politique n’a pas d’entrailles”. Capisco anche la stampa, anche se ha diffuso in questi giorni tutta una serie di notizie che, come si vede, erano inventate e in parte sbagliate. Quello che mi ha un po’ deluso, anche se non è arrivato inaspettato, è stato l’atteggiamento di una certa parte della magistratura, parte della magistratura che si è permessa di sindacare l’operato del Ministro senza aver letto le carte, cosa che può anche essere perdonata ai politici, ma non può essere perdonata a chi per mestiere è deputato, per prudenza, le cartelle dovrebbe leggere.

Allora questa parte della magistratura mi limito a dire che, tenuto anche conto dei precedenti talvolta anche un po’ troppo polemici cui abbiamo assistito all’inaugurazione dell’anno giudiziario, a questa parte della magistratura, se questo è il loro modo di intervenire in modo imprudente, in modo per certi aspetti sciatto, senza aver letto le carte, questo rende il dialogo molto difficile. Il dialogo che ci viene suggerito e talvolta anche così a calde lettere in questo modo diventa molto più difficile. Se questo è un sistema per farci credere che le nostre riforme debbano essere rallentate (…) Posso dire che hanno raggiunto (…)

L’altro giorno un magistrato ha ringraziato ironicamente il Ministro, perché finalmente aveva compattato la magistratura. Sono io che ringrazio questa parte della magistratura, perché ha compattato la nostra maggioranza, come mai si era visto: se agli inizi vi erano delle esitazioni, oggi non vi sono più. Andremo avanti, andremo avanti fino in fondo, senza esitazione e fino alla riforma finale.

INFORMATIVA INTEGRALE DEL MINISTRO DELL’INTERNO, MATTEO PIANTEDOSI

Ministro dell’Interno. Dopo quanto riferito dal collega Nordio, mi soffermerò sulle questioni di mia più stretta competenza relative all’arresto e alla successiva espulsione del cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish. Merita di essere preliminarmente precisato e sottolineato che il cittadino libico noto come Almasri non è mai stato un interlocutore del Governo per vicende che attengono alla gestione e al contrasto del complesso fenomeno migratorio e smentisco, nella maniera più categorica, che nelle ore in cui è stata gestita la vicenda il Governo abbia ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere anche solo lontanamente considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o a ricatto da parte di chiunque, come è stato adombrato in alcuni momenti del dibattito pubblico sviluppatosi in questi giorni; al contrario, ogni decisione è stata assunta, come sempre, solo in base a valutazioni compiute su fatti e situazioni, anche in chiave prognostica, nella esclusiva prospettiva di tutela degli interessi del nostro Paese.

Come già detto al Senato, durante il question time del 23 gennaio scorso – precedenti occasioni in cui il Governo aveva già risposto in Parlamento sul caso in argomento – l’espulsione di Almasri è da inquadrare per il profilo di pericolosità che presentava il soggetto in questione nelle esigenze di salvaguardia della sicurezza dello Stato e della tutela dell’ordine pubblico, che il Governo pone sempre al centro della sua azione, unitamente alla difesa dell’interesse nazionale, che è ciò a cui lo Stato deve sempre attenersi nell’obiettivo di evitare, in ogni modo, un danno al Paese ed ai suoi cittadini.

Tuttavia, è importante evidenziare la scansione dei fatti che si sono susseguiti: lo scorso 2 ottobre il procuratore della Corte penale internazionale ha formulato una richiesta di mandato di arresto internazionale per la commissione da parte di Almasri di crimini di guerra e contro l’umanità quale membro delle forze speciali di deterrenza libiche in base a Mitiga; la Corte penale ha dato seguito a tale richiesta emettendo il mandato di arresto soltanto il 18 gennaio, quando Almasri si trovava in territorio italiano; evidenzio, altresì, che prima di giungere in Italia, Almasri è transitato in diversi Paesi europei, dove risulta essersi recato abitualmente anche in passato, come attestano i documenti di viaggio in suo possesso tra i quali un passaporto della Repubblica della Dominica, che riporta, tra l’altro, un visto per gli Stati Uniti con validità di 10 anni a partire dal novembre scorso; il suo ultimo viaggio risale allo scorso 6 gennaio quando, provenendo da Tripoli, è solo transitato da Fiumicino per dirigersi a Londra senza essere per questo sottoposto a controlli di frontiera in Italia; alla frontiera aerea londinese Almasri ha esibito il predetto passaporto dal quale risulta essere entrato, il successivo 13 gennaio, in area Schengen attraverso la frontiera francese con transito dal tunnel della Manica; il 15 gennaio una delle persone che lo accompagnava ha noleggiato un’autovettura a Bonn con restituzione prevista per il successivo 20 gennaio presso l’aeroporto di Fiumicino; e, sempre il 15 gennaio, nel tratto autostradale tra Bonn e Monaco l’autovettura è stata sottoposta a controllo da parte della polizia tedesca, controllo durante il quale Almasri ha mostrato, tra l’altro, un biglietto ferroviario a suo nome da Londra a Bruxelles datato 13 gennaio, all’esito del quale la polizia tedesca non ha adottato alcun provvedimento. Veniamo ora alle fasi più propriamente collegate alla richiesta di arresto di Almasri, che si intrecciano con la sua prolungata presenza in Europa e con le iniziative attivate dalla Corte penale internazionale attraverso i canali Interpol.

Credo sia di qualche rilievo evidenziare che risale al 10 luglio dell’anno scorso – ben 3 mesi prima della richiesta del procuratore del mandato di arresto – l’inserimento da parte della Corte, nei predetti canali, di una nota cosiddetta di diffusione blu diretta solo alla Germania e non visibile agli altri Paesi, luglio scorso. Tale nota, nella codificazione del canale di comunicazione di Interpol, era finalizzata alla raccolta discreta di informazioni su dati e documenti di viaggio, telefoni e mezzi di pagamento, persone e contatti durante la presenza in Germania di Almasri, con richiesta, per le autorità tedesche, di informare immediatamente l’ufficio del procuratore della Corte penale internazionale. La nota sottolineava, in particolare, la necessità di non mettere in allarme la persona e di non arrestarla, in quanto avente lo status di testimone. È appena il caso di aggiungere che il nominativo di Almasri veniva inserito nelle banche dati federali tedesche per questa sorveglianza discreta, a partire dal 4 novembre 2024.

Veniamo ora al 18 gennaio di quest’anno, quando la Corte penale estendeva la predetta nota di diffusione blu anche a Belgio, Regno Unito, Austria, Svizzera e Francia e, quindi, non anche all’Italia. Nota che, ripeto, sempre secondo la codificazione descritta in precedenza, richiedeva, in caso di rintraccio, di non arrestare la persona. Nel pomeriggio dello stesso giorno, qualche ora prima dell’emissione del mandato di arresto, l’esperto per la sicurezza presso l’Ambasciata d’Italia a l’Aja contattava il coordinatore dell’Unità crimini internazionali della Polizia criminale del Ministero dell’Interno, segnalando di aver ricevuto una richiesta di cooperazione da parte di un funzionario della Corte penale internazionale.

Nella serata del 18 gennaio, il funzionario della Corte forniva al citato coordinatore dell’Unità crimini internazionali i contatti dell’agente della Polizia criminale tedesca, che aveva trasmesso alla Corte le informazioni sui possibili spostamenti del cittadino libico verso il territorio italiano. Successivamente, lo stesso agente della Polizia tedesca trasmetteva all’Unità crimini internazionali una scheda riassuntiva degli accertamenti effettuati in Germania, ivi compreso il controllo su strada del 15 gennaio, cui ho fatto prima riferimento. Ed è bene evidenziare che tutto questo accadeva mentre, all’interno dei più volte citati canali Interpol, non vi era ancora alcuna indicazione di arresto del cittadino libico e neanche alcun’altra indicazione specificatamente diretta all’Italia.

Ed è infatti solo alle 22,55 del 18 gennaio, cioè 3 giorni dopo il controllo del 15 e nella notte tra sabato e domenica, che la Corte penale internazionale chiedeva al Segretariato Generale Interpol di Lione di sostituire la nota di diffusione blu con una nota di diffusione rossa, ovvero contenente indicazioni per l’arresto, rivolta solo a questo punto anche all’Italia, unitamente agli altri Paesi che, al contrario, erano stati già in precedenza investiti. E sempre nella notte tra sabato e domenica, e precisamente alle 2,33 del 19 gennaio, il Segretariato generale Interpol validava la nota di diffusione rossa per l’arresto provvisorio e la successiva consegna alla Corte penale internazionale del cittadino libico. A tale flusso informativo, tutto concentrato in poche ore, ha fatto seguito, indubbiamente, la tempestiva attività delle articolazioni centrali e territoriali della Polizia di Stato, che io voglio ringraziare, perché la notevole professionalità e la spiccata capacità operativa del personale impegnato hanno consentito il rapido rintraccio e l’arresto di Almasri.

Più nel dettaglio, la sala operativa internazionale della Direzione centrale della Polizia criminale trasmetteva alla questura di Torino la nota di diffusione rossa Interpol avendo rilevato, a seguito della consultazione delle banche dati Interforze, che nella mattinata del 18 gennaio era stato effettuato a Torino un controllo di polizia nei confronti di un’autovettura con targa tedesca. A bordo del veicolo c’erano, appunto, Almasri e 3 suoi concittadini, tutti precedentemente sconosciuti e nei confronti dei quali non pendeva alcun provvedimento restrittivo al momento del controllo.

Sulla base di tali indicazioni della Polizia criminale, la questura di Torino effettuava un controllo nella banca dati alloggiati e verificava il soggiorno di Almasri presso una struttura alberghiera della città. Pertanto, alle 3 del 19 gennaio venivano inviati presso tale struttura equipaggi della Digos e della Squadra mobile che procedevano alle 9,30, in questura, all’esecuzione del provvedimento di arresto richiesto dalla Corte penale internazionale. Nella circostanza venivano anche fermati gli altri 3 cittadini libici, successivamente deferiti alla locale procura della Repubblica in stato di libertà per il reato di favoreggiamento personale, poi espulsi con provvedimento del prefetto di Torino, previo nulla osta dell’autorità giudiziaria, e successivamente rimpatriati.

Almasri era temporaneamente associato alla locale casa circondariale Lorusso e Cutugno e, quindi, messo a disposizione dell’autorità giudiziaria competente, ossia la corte di appello di Roma e la procura generale presso la corte di appello di Roma. Ad avvenuta esecuzione dell’arresto, la questura di Torino procedeva ad informare i soggetti e le autorità di rito. Dopo la mancata convalida dell’arresto, mi è apparso chiaro che si prospettava la possibilità che Almasri permanesse a piede libero sul territorio nazionale per un periodo indeterminato, che ritenevo non compatibile con il suo profilo di pericolosità sociale, come emergeva dal mandato di arresto e dalle risultanze di intelligence e forze di Polizia.

Per tali motivi, il 21 gennaio ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del testo unico in materia di immigrazione, e ricordo che, dall’insediamento del Governo, sono stati ben 190 i provvedimenti di espulsione per motivi di sicurezza, dei quali 24 adottati ai sensi proprio dello stesso articolo 13, comma 1. Il provvedimento è stato notificato all’interessato che, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale.

La scelta delle modalità del rimpatrio, in linea con quanto avvenuto in numerosi analoghi casi anche in anni precedenti e con Governi diversi dall’attuale, è andata di pari passo con la valutazione effettuata per l’espulsione di Almasri. In buona sostanza, si è reso necessario agire rapidamente proprio per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto e per i rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato, soprattutto con riguardo a valutazioni concernenti la sicurezza dei cittadini italiani e degli interessi del nostro Paese all’estero, in scenari di rilevante valore strategico ma, al contempo, di enorme complessità e delicatezza. La predisposizione dell’aereo già dalla mattina del 21 gennaio rientra tra quelle iniziative a carattere preventivo e, quindi, aperte ad ogni possibile scenario, ivi compreso l’eventuale necessità di trasferimento in altro luogo di detenzione, che spettano a chi è chiamato a gestire situazioni che implicano profili di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico di tale rilevanza.

Io ribadisco, pertanto, che, una volta venuta meno, su disposizione della corte d’appello di Roma, la condizione di restrizione della libertà personale, l’espulsione che la legge attribuisce al Ministro dell’Interno è stata da me individuata come misura, in quel momento, più appropriata per salvaguardare insieme la sicurezza dello Stato e la tutela dell’ordine pubblico; sicurezza dello Stato e tutela dell’ordine pubblico quale beni fondamentali che, insieme, costituiscono espressione di quella concezione dell’interesse nazionale, la cui tutela è prerogativa e dovere di ogni Governo, e che noi consideriamo cruciale difendere in ogni campo, e lo facciamo dalla complessa gestione dei flussi migratori e alle correlate iniziative di cooperazione allo sviluppo, dalla tutela degli interessi economici nazionali inquadranti politici strategici alla non da ultimo sicurezza personale dei nostri concittadini all’estero, e su questa linea – è bene saperlo – il Governo è fermo e continuerà ad agire, all’occorrenza, allo stesso modo: con determinazione, responsabilità e orgoglio, sempre e solo nell’interesse dell’Italia e dei suoi cittadini

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