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Cop29: quanti soldi servono per la transizione di tutti?

Cop29

Risultati magri dalla Cop29. I paesi in via di sviluppo e più esposti ai danni dei cambiamenti climatici avevano chiesto 1300 miliardi di dollari a fondo perduto. Hanno ottenuto prestiti a basso tasso di interesse per 300 milioni di dollari.  E resta l’incognita Trump, che potrebbe sfilare gli Usa dall’accordo di Parigi. 

La richiesta iniziale era 1300 miliardi di dollari. I paesi in via di sviluppo sono riusciti, invece, a ottenere soltanto 300 miliardi di dollari che arriveranno loro a metà del prossimo decennio. Questi sono i risultati della Cop29, la ventinovesima conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Baku.

COP29: 300 MILIARDI DI DOLLARI PER CONTRASTARE GLI EFFETTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Il documento sulla finanza climatica, che è stato siglato a notte inoltrata, impegna giuridicamente i big dell’economia a destinare una quota crescente di aiuti climatici ai paesi in via di sviluppo che deve arrivare a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Il documento riporta anche un’altra cifra, i 1300 miliardi di dollari all’anno che gli economisti del clima Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern avevano stimato come opportuna.

LE PROTESTE DEI PAESI PIÙ VULNERABILI ALLA COP29

I fondi arriveranno nella forma di prestiti a basso interesse da parte dei paesi sviluppati e non dalla finanza pubblica. Nelle intenzioni dei paesi più vulnerabili, invece, avrebbero dovuto essere concessi in forma di sovvenzioni pubbliche a fondo perduto. Non è andata così, tran le proteste delle nazioni particolarmente vulnerabili (l’Alleanza dei piccoli stati insulari e i Paesi meno sviluppati) che nel pomeriggio di sabato hanno lasciato l’assemblea. La COP6 del 2000 si era conclusa senza un accordo per la stessa ragione. Sono stati diversi i fattori che hanno convinto questi paesi a non abbandonare il tavolo. Prima di tutto la proposta di una roadmap Baku-to-Belém, la città dove si terrà la prossima Cop, per fare il punto dei risultati raggiunti. E poi canale di accesso privilegiato per i Least Developed Countries (i paesi meno sviluppati) e le Small Nation Developing Islands (le nazioni insulari). Circa cinquanta paesi da Afghanistan a Samoa che stanno subendo le ripercussioni peggiori del cambiamento climatico.

LA PRESIDENZA TRUMP: UNA TEGOLA SULLA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Una pesantissima incognita sull’accordo di Baku arriva da Washington. Il ritorno di Donald Trump rischia di far saltare tutti i piani. Come aveva già fatto nel corso della prima presidenza, Trump ha promesso che gli Stati Uniti lasceranno l’accordo di Parigi, il più importante accordo sulla limitazione delle emissioni. Come anticipato dal Wall Street Journal, che cita figure vicine al presidente Usa, Donald Trump firmerà un ordine esecutivo che ritirerà ancora una volta gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima. E potrebbe potrebbe essere proprio il primo atto della sua presidenza, del resto durante la campagna elettorale, Trump sostenuto una politica industriale “vecchio stampo” che, al grido di “Drill, baby, drill”, vuole svincolare il suo paese da accordi internazionali e sostenere tesi negazioniste circa il cambiamento climatico.

PER CONTRASTARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO: DAI 5 AI 12 MILA MILIARDI DI EURO ANNUI

Sul Foglio, Lorenzo Borga, prova a sedare gli animi circa la montagna di fondi necessari a mitigare il cambiamento climatico. Le cifre necessarie a contrastare il cambiamento climatico non sarebbero così proibitive. “Le stime a livello globale variano tra i 5 e i 12mila miliardi all’anno – leggiamo sul Foglio -. Una montagna di soldi, ma non irraggiungibili: oggi l’umanità investe annualmente cifre simili per istruire le prossime generazioni e per curarsi. E se guardiamo ai soli sistemi energetici, nel 2024 in tutto il mondo saranno investiti circa 3mila miliardi di dollari per generare e fornire l’energia necessaria alla civiltà, per la maggior parte in fonti pulite. Certo, i soldi in più servono (almeno il doppio). Ma non partiamo da zero”. Numeri impressionanti ma i che sarebbero niente rispetto ai costi del non decidere che arriverebbero a “numeri a 12 zeri, trillions”.

Un altro punto interessante riguarda gli obiettivi: limitare l’incremento a 1,5 gradi appare un’ambizione impossibile da concretizzare perché per realizzarla “le emissioni annue dovrebbero crollare di quasi la metà entro la fine del decennio”. Non realistico. Appare più plausibile, invece, superare “i due gradi per poi tornarvi al di sotto entro la fine del secolo”.  Il Foglio cita un dato che riguarda la Cina per la quale “limitare la temperatura a +1,5 costerebbe il 37 per cento in più rispetto all’obiettivo +2° C”.

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