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Dal cinema alle big del tech, fino all’automotive: è corsa per boicottare la Russia

Sanzioni BOICOTTARE LA Russia Italia

Non c’è solo la fuga degli energetici: dall’auto alle carte di credito, passando per le big del Tech e il cinema, ecco chi ha deciso di boicottare la Russia

La parola d’ordine per le multinazionali ora è boicottare la Russia. Alcune lo fanno perché ci credono davvero, altre per non avere l’imbarazzo di essere riconducibili alle condotte di un leader, Vladimir Putin, ormai biasimato nella maggior parte del mondo libero, con sempre meno alleati; un nutrito numero di aziende, però, si sta svincolando dagli affari nel Paese solo perché lo impongono le sanzioni.

I PRIMI A BOICOTTARE LA RUSSIA

Gli argini sono stati rotti dall’ex British Petroleum, colosso petrolifero britannico, oggi BP. Il più grande investitore straniero in Russia domenica sera, probabilmente allertato dalle dichiarazioni minacciose di Boris Johnson, ha deciso di cedere la sua partecipazione del 20% in Rosneft. Ci ha pensato qualche ora di più l’anglo-olandese Shell che, a causa di quello che ha definito «l’insensato atto di aggressione militare» della Russia, ha fatto coriandoli della partnership con Gazprom, che la vedeva coinvolta, come avevamo visto meglio qui, nell’impianto di gas naturale liquido Sakhalin-II e nel progetto del gasdotto Nord Stream 2, per un valore complessivo circa 3 miliardi di dollari.

«Nella situazione attuale, consideriamo la nostra posizione insostenibile», ha tuonato qualche ora dopo il CEO della norvegese Equinor, Anders Opedal, che in Russia ha affari per oltre 1,2 miliardi di dollari. Quindi è arrivato l’annuncio di Eni: «Per quanto riguarda la partecipazione congiunta e paritaria con Gazprom nel gasdotto Blue Stream, Eni intende procedere alla cessione della propria quota», afferma un portavoce del gruppo, precisando anche che «l’attuale presenza di Eni in Russia è marginale. Le joint venture in essere con Rosneft, legate a licenze esplorative nell’area artica, sono già congelate da anni, anche per le sanzioni internazionali imposte a partire dal 2014». Infine Exxon Mobil: «In risposta ai recenti eventi, stiamo cominciando il processo di interruzione delle operazioni e di uscita dal progetto Sakhalin-1».

DA APPLE AD APPLE PAY

Apple, l’azienda di Tim Cook ha comunicato l’intenzione di bloccare le vendite e alcuni dei suoi servizi in Russia. La multinazionale di Cupertino si è detta «profondamente preoccupata» della situazione in corso in Ucraina. La scelta di bloccare la vendita di qualsiasi prodotto – dall’iPhone in giù – non riguarda però al momento il software: chi possiede un dispositivo Apple potrà comunque usufruire dell’App Store.

I clienti delle maggiori banche russe, VTB Group, Sovcombank, Novikombank, Promsvyazbank e Otkritie FC Bank, non riescono invece più a utilizzare Apple Pay e Google Pay. Inutilizzabili da giorni Visa e Mastercard. Tutti gli acquisti vanno fatti col rublo di carta, sempre più svalutato.

 

SI MUOVE PURE L’INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA

Con il rublo in caduta libera e le lunghe code agli sportelli per ritirare moneta frusciante, i cinema sarebbero rimasti vuoti a prescindere. Probabilmente chiuderanno dopo la decisione di Warner, Disney e Sony hanno di boicottare la Russia dello zar Putin sospendendo i film in uscita.

“Prenderemo future decisioni commerciali in base all’evoluzione della situazione. Nel frattempo, data la portata dell’emergente crisi dei rifugiati, stiamo lavorano con i nostri partner Ong per fornire aiuti urgenti e tutta l’assistenza umanitaria necessaria”, ha dichiarato Disney. Nelle ultime ore si è unita anche Universal. Ad annunciarlo un portavoce della major, che ha spiegato che la decisione è stata presa “in risposta alla crisi umanitaria in Ucraina”.

 

Sul fronte della moda, Nike ha sospeso la consegna delle merci. mentre Adidas è andata oltre, interrompendo la partnership con la Federcalcio russa.

AUTO FERME, AEREI A TERRA

Ford ha sospeso tutte le sue operazioni in Russia. Skoda ci sta riflettendo. La coreana Hyundai ha chiuso lo stabilimento di San Pietroburgo fino al 5 marzo, dopo si vedrà come prosegue il conflitto. Stellantis ha istituito una task force per monitorare la situazione. Daimler Truck Holding sarebbe pronta a lasciare il partner locale Kamaz. Volvo ha interrotto la distribuzione delle sue auto. Sempre dal mondo motori si è mossa anche Harley Davidson: uno dei brand più iconici al mondo in fatto di due-ruote ha tagliato i ponti con la Russia.

Il costruttore di aerei Boeing ha annunciato che sospenderà i suoi servizi operativi di assistenza alle compagnie aeree russe che restano così senza ricambi, manutenzione e supporto tecnico. In scia pure Airbus: “Il centro ingegneristico Airbus in Russia”, si legge in una nota incentrata sull’Ecar, che occupa circa 200 ingegneri, frutto di una joint venture tra Airbus, Systema Invest e gruppo Kaskol, “ha sospeso tutte le operazioni in linea con le sanzioni. Con riferimento ai servizi ingegneristici”, prosegue il comunicato, “l’Ecar sta analizzando le sanzioni per determinare se questa attività possa proseguire”. Non che cambi molto: in fondo quasi tutto il mondo ha chiuso i cieli agli aerei russi, che sono dunque destinati a restare a terra per un bel po’.

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