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Fascisti d’America, una mappa per orientarsi nell’odio a stelle e strisce

Fascisti D'america

Stretta sulle armi e riforma della polizia: Biden promette di rivoluzionare un Paese che lo scorso sei gennaio, con l’assalto al Congresso, ha scoperto di avere il nemico in casa. Ma chi è questo nemico? Abbiamo provato a capirlo intervistando Federico Leoni, autore del libro Fascisti d’America

Sono finiti (o solo archiviati?) i tempi dell’URSS così come quelli degli Stati canaglia. Anche quando il nemico degli USA era il terrorismo islamico, pareva comunque più facile da identificare, avendo (o supponendo avesse) ben precisi tratti somatici. Adesso, invece, il terrorista è americano, pericoloso e carico d’odio, come dimostra l’assalto al Congresso, indistinguibile nella folla, tranne per il fatto che, probabilmente, è convinto di essere più patriota di tutti. “Non esiste un identikit del razzista tipo”, conferma a Policy Maker Federico Leoni, giornalista di Sky TG24 e autore del libro Fascisti d’America (Paesi Edizioni). “I gruppi che predicano l’odio – spiega – sono tantissimi”. La vastità del territorio statunitense si riflette insomma sull’eterogeneità della galassia dell’estrema destra e della destra radicale. “Ciascuno ha proprie bandiere, una propria, delirante, convinzione e pure un proprio dress code”. E il brutto è che, se finora i fascisti d’America, dispersi in gruppetti, litigavano tra loro o semplicemente si ignoravano, ora hanno iniziato a compattarsi.

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Qanon Shaman
L’attivista Jake Angeli, anche noto coi nomi di battaglia “QAnon Shaman” e “Yellowstone Wolf”

“Sono due gli eventi che li hanno spinti a mettere da parte le differenze in nome di un avversario comune: l’élite, da non intendersi solo come politica ed economica, ma persino culturale”, argomenta Leoni. “Il primo risale al 2008: la prima elezione di Barack Obama, un evento che tutti i gruppi dei fascisti d’America hanno vissuto in modo drammatico; il secondo è stato invece l’elezione di Donald Trump, che ha dimostrato come le loro idee potessero persino arrivare alla Casa Bianca”. Ora Joe Biden se la dovrà vedere con loro, con i fascisti d’America.

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QUEL FILO NERO CHE LEGA L’ATTENTATO DI OKLAHOMA ALL’ASSALTO AL CONGRESSO

“L’opinione pubblica americana ha scoperto di avere i terroristi in casa il 6 gennaio scorso, con l’assalto al Congresso,  ma l’intelligence era al corrente del pericolo da anni: non dimentichiamo – ricorda l’autore del libro – che, prima dell’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, il più grande attentato sul suolo statunitense fu quello di Oklahoma, del 1995” in cui morirono 168 persone, tra cui 19 bambini e altre 672 rimasero ferite. Un gesto criminale dal forte sapore propagandistico, avvenuto non a caso il 19 aprile, in coincidenza con l’anniversario dell’assedio di Waco e delle battaglie di Lexington e Concord durante la guerra d’indipendenza americana.

fascisti d'America
Federico Leoni

INTERNET E SOCIAL, COVO DEI FASCISTI D’AMERICA

Non ci sono più croci che bruciano e inquietanti cappucci bianchi, ma l’America non sembra affatto essere riuscita a voltare pagina: “Il KKK vero e proprio – spiega sempre il giornalista Sky – è ormai ridotto ai minimi termini, ma le nuove organizzazioni hanno preso molto delle loro idee, spogliate di tutta l’iconografia più inquietante e spesso rivestite anche in modo simpatico, come tantissimi ‘meme’ diffusi su Internet, per poter essere apprezzate dal pubblico contemporaneo”.

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Proprio internet, per Leoni, ha avuto e ha tuttora un ruolo cruciale nel coordinamento dei vari gruppi: “Intendiamoci, la maggior parte delle organizzazioni esisteva già prima, ma Internet oggi è diventata la loro piazza di incontro, collegandole anche se sono fisicamente distantissime. Bisognerà poi capire – si chiede l’autore – quali saranno le conseguenze delle tante espulsioni di militanti dai social” main stream, dato che “hanno riparato subito in altri ritrovi virtuali con regole meno severe” o addirittura simpatizzanti nei confronti dell’estrema destra, “dove forse essendo meno noti cala il rischio di fare proselitismo, ma essendoci la libertà di dire ciò che ci vuole c’è il pericolo di una estremizzazione ulteriore. E il terrorismo islamico ci ha già insegnato quale sia il ruolo del Web nella radicalizzazione”, in particolar modo delle nuove generazioni.

Joe Biden e la sua vice Kamala Harris

Biden, che nel discorso al Congresso per i suoi primi 100 giorni promette una stretta sulle armi (“Per molti gruppi è l’ulteriore prova delle intromissioni del governo federale nella vita privata, una vera e propria violazione della Costituzione da cui viene fatto discendere il diritto ad armarsi”, fa notare Leoni) e persino una seria riforma della polizia (“Abbiamo visto il ginocchio dell’ingiustizia sul collo dell’America afroamericana”, ha scandito in Aula) dovrà spuntare gli argomenti farneticanti dei fascisti d’America.

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“La partenza arrembante di Biden non sarà certo piaciuta agli estremisti, così come non avranno certo gradito la scelta di Kamala Harris in qualità di sua vice, dato che è contemporaneamente donna e di origini indio-giamaicane”, fattori, questi, che alimentano la teoria del complotto, secondo cui all’opera ci sarebbero poteri che vogliono corrompere la purezza dell’America tradizionale. “Ma Biden – continua Leoni – potrebbe anche silenziare questi estremisti senza combatterli, ma con la sua politica di aiuti, utile a ridurre il malcontento diffuso soprattutto dopo la pandemia”. Non sarà comunque facile placare l’odio degli ‘orfani di Trump‘, anche perché ciascuno porta istanze molto differenti.

Fascisti d'America

E Fascisti d’America, agilissima lettura attraverso quel florilegio, spesso grottesco, di gruppi dell’odio, da Proud Boys, a Boogaloo, passando per QAnon, suprematisti bianchi, fino ad arrivare ai militanti dell’American Identity Movement o dell’Aryan First, prova appunto a farceli conoscere. Il suo autore l’ha pensata come una “mappa” i cui punti cardinali sono spesso gesti, piazze virtuali, loghi, bandiere (elencate nella parte conclusiva), slogan e ideologie farneticanti. Si scopre così, tramite il linguaggio asciutto ma efficace tipico del cronista, un Paese che la maggior parte di noi non sarebbe mai riuscito a immaginare, molto diverso da quello che viene raccontato attraverso le lenti, talvolta deformate, delle telecamere del cinema statunitense.

 

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