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Global minimum tax: cos’è la direttiva che tassa le Big tech

global minimum tax

Il Consiglio dei ministri ha approvato  i decreti legislativi di attuazione della delega fiscale che avevano al loro  interno proprio la global minimum tax.

Luce verde alla Global Minimum Tax, l’imposizione fiscale del 15% per i gruppi industriali, nazionali o multinazionali, con ricavi consolidati globali maggiori o uguali ai 750 milioni di euro. Tra questi sono incluse anche le big tech, come Amazon, Apple, Meta e Google. Il Consiglio dei ministri ha approvato i decreti legislativi di attuazione della delega fiscale sugli adempimenti e versamenti, e quello sulla fiscalità internazionale che ha al suo interno proprio la global minimum tax. La norma sarà in vigore dal 1° gennaio 2024.

COSA PREVEDE LA GLOBAL MINIMUM TAX

La norma deriva da un’intesa raggiunta in sede Ocse nel luglio di due anni fa tra 139 giurisdizioni. Il dispositivo rappresenta una prima risposta di natura politica allo strapotere economico di grandi gruppi industriali che realizzano fatturati annui paragonabili a quelli statali. L’obiettivo è obbligare le big tech a pagare le tasse non solo nel paese in cui detengono il domicilio fiscale ma anche nel paese in cui operano. La strategia seguita è quella di riformare la tassazione internazionale per fronteggiare la forza economica dei grandi agglomerati multinazionali. Stando a una stima dell’Osce il gettito fiscale complessivo mondiale potrebbe aumentare di circa 220 miliardi di dollari.

I DUE PILASTRI DELLA GLOBAL MINIMUM TAX

La riforma elaborata in sede Osce è stata articolata in due pilastri. La direttiva (UE) 2022/2523 ha introdotto nel nostro ordinamento comunitario il secondo pilastro.

I due pilastri della riforma sono:

  • il primo prevede un sistema di imposizioni fiscali alle aziende nei paesi in cui sono realizzati gli utili. Lo scorso 11 ottobre l’Osce ha approvato la norma che obbliga le aziende che denunciano un fatturato superiore ai 20 miliardi di euro e una redditività superiore al 10 per centoa pagare le imposte anche nei Paesi in cui svolgono le attività e non solo in quelli in cui hanno la sede legale. Sono escluse le aziende del settore estrattivo e quello finanziario regolamentato;
  • il secondo pilastro, che dà il nome alla norma, invece, introduce una tassazione minima effettiva pari ad almeno il 15 per cento per i grandi gruppi multinazionali con fatturato globale superiore a 750 milioni di euro.

LE DIFFICOLTÀ CON IL PRIMO PILASTRO

“La comunità internazionale ha lavorato a stretto contatto per risolvere le questioni tecniche relative allo storico accordo sulla riforma della tassazione delle multinazionali – ha detto il segretario generale dell’OCSE Mathias Cormann -. Il testo della Convenzione multilaterale, pubblicato oggi, fornisce ai governi la base per l’attuazione coordinata di questa riformafondamentale del sistema fiscale internazionale e rappresenta un progresso significativo verso la firma della Convenzione”. Tuttavia il primo pilastro è quello più ostico, anche perché prevede che 25% dei profitti oltre il margine del 10% dovrebbero essere riattribuiti ai Paesi dove le aziende vendono i loro prodotti e servizi, indipendentemente dalla presenza fisica nel territorio. La misura, in sede europea, è ferma a una proposta di decisione che non ancora adottata del Consiglio.

GLOBAL MINIMUM TAX: I RISVOLTI PER L’ORDINAMENTO ITALIANO

La direttiva 2022/2053 ha introdotto nell’ordinamento comunitario i contenuti del secondo pilastro della riforma, dunque l’aliquota fiscale effettiva del 15%. La norma europea, e dal 1° gennaio 2024 in vigore anche in Italia, prevede due nuove regole che provano a contrastare le attività elusive delle grandi multinazionali: la Income Inclusion Rule (IIR) e la Undertaxed Payments Rule (UPR).

La prima prevede un’imposta integrativa da versare in Italia per quelle aziende le cui controllate godono di una tassazione minore in un Paese a fiscalità di vantaggio. Le controllanti dovranno quindi versare la differenza tra il 15% e la minore tassazione. La seconda norma interviene quando la prima non può essere applicata perché le controllate o la controllante opera in uno stato in cui la norma non è in vigore.

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