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Ddl Lobby, cos’hanno detto The Good Lobby e il professor Petrillo

Lobby

Proseguono in commissioni Affari costituzionali alla Camera le audizioni degli esperti del settore in vista del varo della prima legge italiana in materia Lobby

La commissione Affari costituzionali di Montecitorio va avanti con le audizioni per arrivare ad una legge che regolamenti l’attività di rappresentanza di interessi. Un provvedimento atteso e che di sicuro arriva “in grande ritardo rispetto ad altri Paesi” commenta con Policy Maker il deputato Francesco Silvestri (M5S), primo firmatario di una delle tre proposte al vaglio della commissione. Oggi è stata la volta dell’organizzazione non profit The Good Lobby e di Pierluigi Petrillo, docente di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss di Roma.

A marzo, prima del lockdown, sono stati ascoltati dalla commissione Finco, Comin&Partners e FB & Associati; poi nelle scorse settimane Telos A&S e Open Gate Italia e da ultimo Reti ­- Public affairs lobbying and communication, l’Associazione Il Chiostro – per la trasparenza e professionalità delle lobby e Gianluca Sgueo, docente alla New York University di Firenze.

THE GOOD LOBBY: PIÙ TRASPARENZA E INCLUSIVITÀ

“Rendere più trasparenti e democratiche le scelte praticate dai decisori pubblici e poter contare su processi decisionali inclusivi”: queste le linee guida di una legge che regolamenti l’attività dei portatori d’interesse secondo i rappresentanti di The Good Lobby, organizzazione non profit fondata nel 2015. “Il nostro intento è affermare alcuni principi fondamentali che devono presiedere alla regolamentazione dei rapporti con i portatori di interessi – hanno sostenuto -. Il processo decisionale deve essere inclusivo. I policy maker non possono interpellare in maniera arbitraria solo i soggetti che per contatti, risorse disponibili, rilevanza economica e sociale sono in grado di farsi ascoltare. Si chiede che una regolamentazione del lobbying garantisca a tutti i soggetti in grado di portare un punto di vista utile al decisore pubblico di potersi esprimere e di poter essere ascoltati. Parallelamente crediamo che il processo decisionale debba essere pienamente trasparente, chiaro e semplice. Trasparenza e inclusività contribuiscono a rendere più compiuta la democrazie e legittimano le decisioni pubbliche che altrimenti corrono il rischio di essere opache e al servizio di interessi oscuri”.

Secondo l’organizzazione “molto si deve fare per alimentare una cultura del lobbying responsabile, per rafforzare una cultura della partecipazione che consideri gli stakeholder una risorsa e una fonte di legittimazione, per implementare una cultura della trasparenza che renda le istituzioni più aperte e responsabili. Pensiamo perciò che una legge efficace deve avere una visione molto più olistica e fluida dei processi decisionali. Si dovrebbe puntare a una consultazione proattiva degli stakeholder fornendo loro indicazioni precise sin dalle prime bozze dei testi di legge”.

Tra i suggerimenti offerti alla commissione da The Good Lobby: un registro nazionale e obbligatorio “in modo da scongiurare la frammentazione a cui abbiamo assistito negli ultimi anni” non depositato presso l’Anac ma presso un’altra Authority, garantire un accesso tempestivo alle informazioni e alle bozze dei provvedimenti in fieri, decidere un quadro sanzionatorio che non sia troppo sbilanciato verso il portatore di interessi come si evince invece dai tre ddl al vaglio della commissione. Bene la scelta di “includere gli enti locali, limitandosi a quelli più rappresentativi per numero di popolazione” tra i decisori pubblici.

PETRILLO: SI PUNTI A UNA LEGGE MINIMALE E TEMPORANEA

“I tre ddl mi pare che vadano in una direzione estremamente condivisibile” ha affermato all’inizio dell’audizione Petrillo, professore ordinario di Diritto pubblico comparato al dipartimento di Scienze giuridiche ed economiche all’università Unitelma Sapienza di Roma e di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss di Roma. “La necessità di regolamentare il fenomeno nasce dall’esigenza di dare riscontro alla fattispecie penale del traffico di influenze illecite. Questa fattispecie penale richiede necessariamente la vigenza di una legge che definisca la attività di lobbying, perché non è noto cosa sia la mediazione lecita” ha spiegato l’esperto secondo cui c’è pure la necessità “di fornire uno strumento interpretativo a una norma limitativa della libertà personale e di assicurare una serie di principi costituzionali, dall’imparzialità del decisore pubblico ai principi di trasparenza del processo decisionale” e di “migliorare la qualità della regolamentazione perché la mancata regolamentazione del fenomeno lobbistico tiene fuori dal Paese un numero consistente di investitori che non conoscendo le regole delle relazioni non si arrischiano in investimenti”.

Le tre proposte di legge, secondo il docente universitario, “rispondono pienamente a queste esigenze. Il ddl Fregolent si ispira a quello che è stato preparato durante il governo Letta ma non approvato dal Consiglio dei ministri a luglio 2013, è un provvedimento ben strutturato e organico. Il ddl Madia punta molto sulla trasparenza del processo decisionale mentre il ddl Silvestri è una sorta di Letta plus con spunti originali e d’impatto innovativo”. In particolare nella proposta di legge pentastellata Petrillo approva il divieto di revolving door ovvero “la previsione per la quale nel registro non possono iscriversi ex parlamentari nei due anni successivi alla conclusione del mandato, giornalisti, dirigenti di partiti politici; è un elemento da mantenere se si facesse un testo unificato”. Attualmente, ha ricordato, esistono tre modelli di regolamentazione del settore: uno fondato sulla trasparenza  (ad esempio nel Regno Unito, in Canada, in Australia), uno che prevede la partecipazione ai lavori del portatore d’interessi insieme al decisore pubblico (come in Germania, in Austria e soprattutto negli Stati Uniti), uno che non presenta norme specifiche sul fenomeno lobbistico.

Nei ddl ora al vaglio della commissione Affari costituzionali “la partecipazione è molto debole – ha evidenziato -. Se l’intento del legislatore è quello di assicurare la partecipazione al processo decisionale dovrebbe essere rafforzato questo aspetto, prevedendo espressamente ad esempio che i decisori pubblici possono incontrare esclusivamente i soggetti iscritti nel registro”. “Storicamente – ha notato poi Petrillo – i portatori d’interesse sono contrari a che l’Anac sia ente di controllo e vedono bene l’Antitrust come profilo di mercato. Personalmente non ho un orientamento sull’autorità che si deve occupare del controllo. L’importante è che sia un’autorità indipendente. Le ipotesi in disegni di legge precedenti di istituire un’autorità presso la presidenza del Consiglio non è efficace se si vuole davvero prevedere un controllo”.

In conclusione il docente della Luiss ha ricordato che dal 1976 nel nostro Paese ci sono stati circa 90 tentativi di regolamentare il settore tra cui il ddl Santagata – durante l’esecutivo Prodi – che fu approvato in Cdm ma che poi si bloccò in Senato perché cadde il governo. Secondo Petrillo i vari provvedimenti “non hanno visto la luce perché si vuole regolamentare da zero a mille questa fetta di mercato priva di regole e rimessa all’etica delle persone. Temo che se si vuole intervenire in modo troppo puntuale si rischia di non riuscire. Suggerisco un intervento minimale, temporaneo, per valutare l’impatto, che vada verso il decisore pubblico e non verso il mercato. Abbiamo l’esigenza di fare emergere chi sono i lobbisti e come interloquiscono con i decisori pubblici”.

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