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Perché la premier non mette la faccia sul dossier ex Ilva

Meloni Ilva

La premier Meloni non vuole lasciare ‘impronte’ politiche sulle decisioni che riguardano l’ex Ilva, lo stabilimento siderurgico di Taranto. Per quali motivi?

E’ stato forse uno degli incontri più importanti di questo inizio di legislatura. Si doveva decidere il presente e il futuro non solo di una fabbrica del Sud, l’ex Ilva, ma in soldoni di Acciaierie d’Italia, ovvero del settore siderurgico italiano, che dovrebbe rientrare a pieno titolo all’interno della strategia industriale di un paese del G7.

Al tavolo c’era da una parte il governo e dall’altro ArcelorMittal, il socio privato di Acciaierie d’Italia. A rappresentare l’Esecutivo i ministri Giorgetti, Fitto, Urso, Calderone, il sottosegretario Mantovano. La delegazione aziendale era guidata dal Ceo Aditya Mittal. Presente anche l’Ad di Invitalia, Bernardo Mattarella.

IL GOVERNO PROPONE UN AUMENTO DELLA PARTECIPAZIONE PUBBLICA AL 66%, NO DI MITTAL

Il vertice ha avuto un esito negativo. Il tavolo è saltato. Nell’incontro con ArcelorMittal “la delegazione del Governo – ha spiegato una nota di Palazzo Chigi – ha proposto ai vertici dell’azienda la sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale, pari a 320 milioni di euro, così da concorrere ad aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia, unitamente a quanto necessario per garantire la continuità produttiva. Il Governo ha preso atto della indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza, e ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale”. Nel frattempo il governo ha convocato i convocati per giovedì 11 gennaio.

ASSENTE GIORGIA MELONI. IL RAPPORTO DELLA PREMIER CON IL DOSSIER EX ILVA

Assente al vertice Giorgia Meloni. Un’assenza che per alcuni è stata considerata una stonatura. Anche in considerazione del fatto che la premier fa di tutto per presiedere gli incontri più importanti. Probabilmente sarà presente in occasione della riunione sul tema dei balneari.

Quale è il rapporto della premier con il dossier Ilva? C’è da dire intanto che per trovare una dichiarazione della presidente del Consiglio in questi primi 14 mesi di Governo sulla situazione dell’impianto siderurgico di Taranto è un’impresa. Buio fitto. Il 30 dicembre 2022, da poco insediata, fu lei stessa nella sua rubrica ‘gli appunti di Giorgia’ a far riferimento all’ex Ilva, sostenendo che “l’obiettivo che ci diamo è farne una grande acciaieria verde, aumentando la produzione e recuperando le persone in cassa integrazione”.

Da allora poco o niente. Giusto il 9 giugno, quando si trovava in Puglia, a Manduria, per essere intervistata da Bruno Vespa al Forum in masseria, non potette esimersi dall’incontrare alcune rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) di Acciaierie d’Italia.

Il dossier dall’inizio è stato appaltato (non senza frizioni interne allo stesso governo) al ministro Urso ma soprattutto al ministro pugliese Raffaele Fitto.

PERCHE’ GIORGIA MELONI NON VUOLE METTERE LA FACCIA SULL’ILVA?

Perché questo basso profilo della premier? Il punto è evidentemente politico. Meloni non vuole associare il proprio volto a una delle più gravi crisi industriali degli ultimi anni, che ha a lungo sottoposto la comunità di Taranto a un ricatto morale atroce tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute. A rischio è l’intero indotto, il futuro occupazionale di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. A rischio continua a essere la salute dei tarantini, a rischio è una vera ed efficace transazione verde.

Perché Giorgia Meloni non vuole metterci la faccia, perché non vuole lasciare le proprie impronte? Le ragioni sono due in particolare. La prima è che ovviamente il suo governo e Fratelli d’Italia (che è sempre stata all’opposizione in questi ultimi dieci anni) non hanno avuto alcun ruolo nelle decisioni che sono state adottate fino ad oggi.

E lo spiegano bene i referenti locali di FdI, tra cui quel Dario Iaia – deputato del partito di Meloni eletto alle ultime politiche con l’uninominale nel collegio di Taranto, i quali pochi giorni fa hanno replicato a muso duro al Pd, accusato di essere “il partito che in questi anni ha la colpa del disastro che è stato ereditato dal Governo Meloni: sono loro, compresi i loro parlamentari e gli alleati di coalizione, che hanno gestito tutta la vicenda dal 2013”, citando i vari Michele Emiliano, il sindaco Rinaldo Melucci, l’AD di Arcelor Mittal Lucia Morselli, e puntando il dito contro il centrosinistra e i grillini che hanno “regalato l’acciaieria a Mittal”.

L’altro motivo di questo distacco formale dal dossier ex Ilva è dovuto al fatto che probabilmente la premier, che dall’opposizione sosteneva anche l’ipotesi della nazionalizzazione dell’Ilva, è consapevole che qualsiasi decisione sarà concretizzata alla fine potrebbe rivelarsi un lose-lose.

L’INCONTRO DELL’ALLORA PREMIER CONTE E LE CASSANDRE DI CALENDA

La situazione politica è nella sostanza anche diversa da quella con cui ha avuto a che fare l’allora premier Giuseppe Conte, il quale il 22 novembre 2019 incontrò personalmente i vertici di ArcelorMittal. C’è da dire infatti che il M5S alle elezioni Politiche dell’anno precedente sbaragliò tutti al Sud. A Taranto, nel 2018, Rosalba De Giorgi con il M5S conquistò il collegio uninominale sfiorando da solo il 50%, all’esito di una campagna elettorale in cui il dossier Ilva per i grillini fu centrale. Era chiaro quindi che Conte, e con lui il M5S e l’allora leader Di Maio, non potevano certo provare a mettere la polvere sotto il tappeto.

Forse ha ragione il leader di Azione Calenda, quando sostiene che “l’Ilva è finita, è chiusa dal giorno in cui il governo giallorosso ha fatto decadere il contratto con ArcelorMittal. Ora ci vorranno 3-5 anni ma farà la fine di Alitalia, poi proveremo a venderla ma è finita”.

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