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Recovery Plan, che succede ora? L’iter parlamentare del Pnrr

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Il documento di 170 pagine dal valore di 209 miliardi arriverà ora alle Camere. Ma la crisi di governo rischia di comprimere l’iter parlamentare del Pnrr, con buona pace di chi sperava di coinvolgere anche le parti sociali e i rappresentanti delle attività economiche

Sebbene le ultime azioni di Matteo Renzi rendano tutto molto più incerto, ipotecando la vita dell’esecutivo stesso, il Pnrr, ovvero il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (qui l’ultima bozza) deve proseguire la sua corsa, partita tra mille difficoltà e già viziata da un ritardo monstre, dato che sarebbe dovuto essere consegnato il 15 ottobre scorso. L’ultima deadline da non mancare ora è la metà di febbraio, promessa a più riprese dal premier Giuseppe Conte. E il governo, uscente o traballante che sia, non può permettersi di arrivare tardi.

QUAL È L’ITER PARLAMENTARE DEL PNRR

Intendiamoci: il termine ultimo fissato da Bruxelles per la presentazione del progetto di spesa dei fondi del Next Generation Eu è il 30 aprile, ma considerato il deficit di credibilità storico del nostro Paese in buona parte dell’Europa (soprattutto in quella del Nord, che corrisponde poi ai Frugali che non volevano concederci i prestiti sulla base della presunzione che non saremmo riusciti a spenderli bene), nessuno a Roma vuole consegnare il compitino mentre suona la campanella. Tornando alle arabescate vicende di casa nostra, sull’iter parlamentare del Recovery Plan dibattono anche i costituzionalisti, dato che si tratta di un unicum. Teoricamente, con ogni probabilità, il Pnrr potrebbe essere presentato alla Commissione europea senza un previo passaggio parlamentare. Passaggio che comunque era già stato promesso dal presidente del Consiglio Conte che già proprio a causa dell’accusa che gli viene mossa di aver deciso senza alcun rispetto della collegialità rischia ora di veder saltare il proprio esecutivo.

A maggior ragione, un governo in odore di crisi, che potrebbe tornare alle Camere per formalizzare se gode ancora della fiducia dei due rami del Parlamento, non può esimersi dal passaggio assembleare. Resta da comprendere quanto spazio sarà dato alla discussione, visto che i venti di crisi spazzano tutto, comprimendo notevolmente i tempi. Questo con buona pace di chi sperava in un coinvolgimento delle parti sociali e degli attori economici, che dovranno accontentarsi degli Stati generali della scorsa estate (e non è detto che il presidente del Consiglio che li ha ricevuti sia lo stesso che porterà in Parlamento il documento definitivo). Peraltro, nei prossimi giorni rischiano di slittare anche gli appuntamenti in via di calendarizzazione sullo scostamento di bilancio a copertura del Ristori V.

CHI GUIDA LA MACCHINA DEL RECOVERY PLAN?

Bizantinismi tutti italiani a parte, che dalle parti di Bruxelles faticheranno a comprendere, c’è un tema che dovrà necessariamente essere deciso in Parlamento: la governance (impallinata come un merlo proprio da Renzi) del Pnrr. Si legge nella bozza: il Governo, “sulla base delle linee guida europee per l’attuazione del Piano, presenterà al Parlamento un modello di governance che identifichi la responsabilità della realizzazione del Piano, garantisca il coordinamento con i Ministri competenti a livello nazionale e gli altri livelli di governo, monitori i progressi di avanzamento della spesa”.

Ciò che sappiamo, è che al momento la capigruppo della Camera dei Deputati ha deciso le modalità di esame del Recovery plan, assegnando il Pnrr alla V commissione Bilancio, con pareri di tutte le altre commissioni. Si prevede di portare le risoluzioni a Montecitorio con votazione ai primi di febbraio. Ma il Pnrr ha una natura ibrida, se vogliamo paragonabile alla NaDef, la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza. Perciò, l’ipotesi più probabile è una votazione in blocco dell’intero pacchetto per Camera alta e Camera bassa, senza navette e grandi possibilità di modifiche ed emendamenti che rischierebbero di ritardare ulteriormente il momento in cui l’Italia consegnerà il Recovery Plan sulla scrivania della Commissione europea per essere approvato. O rimandato al mittente. Ma una ipotetica bocciatura del piano, oltre a far cadere il governo che lo ha presentato, farebbe fallire anche il Paese.

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