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Come finirà la crisi di governo?

Governo

I Graffi di Damato. Niente quiete dopo la tempesta del voto risicato di fiducia al Senato

Senza volere arrivare al “panico” attribuito dal Foglio a Giuseppe Conte, collaboratori e amici pur dopo il successo che si sono troppo presto attribuito dando Matteo Renzi per isolato, spacciato e quant’altro, non credo proprio che sia stato confortante a Palazzo Chigi leggere sul Corriere della Sera del sondaggio appena effettuato dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli. Che ridimensiona alquanto la popolarità di Giuseppe Conte abbassando al 40 per cento il favore alla prosecuzione del suo ormai abborracciato governo e portando l’auspicio di un’”alternativa” ad un altrettanto 40 per cento, per cui si può ben parlare di un paese spaccato a metà.

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Non è meno sconfortante il risultato del sondaggio di Alessandra Ghisleri, che sulla Stampa ha riferito di un 53 per cento degli italiani per niente soddisfatto della maggioranza ormai raccogliticcia del governo: una percentuale aggravata, per il presidente del Consiglio, da una forte partecipazione – il 35,9% – di elettori abituali del Pd. All’interno del quale, come anche fra gli stessi grillini secondo alcune cronache politiche, aumentano le paure, le preoccupazioni, le tensioni per l’irrigidimento dei rapporti di Conte con i renziani scampati ormai alla decimazione annunciata o attesa alla vigilia del voto di fiducia al Senato. Ma anche o soprattutto per le crescenti difficoltà incontrate dal presidente del Consiglio e dai suoi emissari nel tentativo di allargare a “responsabili”, “volenterosi” e quant’altri del centrodestra la maggioranza, o ex grillini, almeno entro i dieci o quindici giorni promessi all’impaziente Sergio Mattarella al Quirinale.

Che la ricerca dei “volenterosi” – ancor prima che quelli eventuali dell’Udc non fossero sorpresi e traumatizzati dalle dimissioni del loro segretario Lorenzo Cesa, finito sotto indagine giudiziaria in Calabria per associazione a delinquere aggravata col metodo mafioso – fosse di assai improbabile successo lo hanno del resto capito persino nella redazione del Fatto Quotidiano, dove gli estimatori di Conte si sprecano quanto gli ossessionati da Renzi. Il vignettista Vauro Senesi ha oggi chiuso Conte, affaticato dalla velocità della sua corsa d’inseguimento di chissà chi, in un cilindro che gira a vuoto.

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Più che allargarsi, d’altronde, la maggioranza relativa e stringata raccolta dal presidente del Consiglio al Senato martedì scorso già rischia di ridursi mercoledì prossimo di fronte alla relazione del capo della delegazione grillina al governo Alfonso Bonafede, guardasigilli e scopritore politico dell’avvocato di stanza a Palazzo Chigi, sullo stato della giustizia e sulla riforma assai divisiva che ha in mente di portare avanti. L’ostinato e sostanziale rifiuto di modificare la prescrizione breve, sino alla sola sentenza di primo grado, introdotta come una supposta nella legge nota come “spazzacorrotti” e in vigore ormai da più di un anno, ha già indotto quella specie di matricola della nuova maggioranza che può considerarsi la moglie di Clemente Mastella, la senatrice Alessandrina Lonardo, ad avvertire che l’esperienza familiare nei tribunali le impedisce di votare la relazione di Bonafede.

Problemi di garantismo sono avvertiti anche da Riccardo Nencini, il “fine intellettuale” che, corteggiato in aula al Senato, ha ridato a Conte il suo voto di fiducia scartando l’astensione da cui pure era tentato per non rompere con i renziani. Grazie ai quali nel 2019 egli aveva potuto costituire un gruppo autonomo col doppio nome del Psi e di Italia viva.

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