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Draghi e Figliuolo visti dai vignettisti

Draghi Figliuolo

I Graffi di Damato. La curiosa caccia al generale in questi tempi di guerra virale

Per una volta, o per una delle poche volte, non ho né riso né sorriso alla vignetta sulla prima pagina del Corriere della Sera in cui Emilio Giannelli ha rimesso addosso tutta la divisa “mimetica” al generale degli alpini Francesco Figliuolo: il commissario straordinario all’emergenza virale sottopostosi promozionalmente al controverso vaccino AstraZeneca appena riammesso alla campagna di immunizzazione. Quella divisa per intero serve solo per consentire ad una coppia immaginaria di medici di sfottere il generale, diciamo così. Cioè, di dargli praticamente dell’esibizionista. Un altro vignettista che non mi ha fatto oggi né ridere né sorridere è Stefano Rolli, sul Secolo XIX, che ha voluto scherzare sulla “mira” del generale “alla sua età”, che poi non è neppure di 60 anni compiuti, per l’obiettivo propostosi di “500 mila vaccini al giorno”.

Avranno invece sorriso e riso, forse anche a crepapelle, i soliti del Fatto Quotidiano, che hanno definito “gaffe” quella compiuta dal generale incoraggiando il pubblico a offrirsi alle “dosi eccedenti” del vaccino nei 1800 punti di raccolta provocando “resse” e mandando “in tilt” tutto il sistema. Che è già compromesso peraltro da disfunzioni, pasticci e simili delle regioni più o meno disgraziatamente provviste di competenze sanitarie con tanto di bolli costituzionali.

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Ma più che dolersi di questi effetti presumibilmente perversi della mobilitazione del generale Figliuolo, ma anche del capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio, da non confondere naturalmente col Renato delle brigate rosse, ritratti insieme alla Cecchignola mentre andavano a vaccinarsi, o ne uscivano, vignettisti e titolisti hanno dato l’aria – specie nel giornale diretto da Marco Travaglio – di compiacersi delle difficoltà in cui si trova, e potrebbe trovarsi ancora di più nei prossimi giorni, il governo di Mario Draghi. La cui colpa principale per costoro rimane quella di avere sostituito l’indimenticabile, impareggiabile, prezioso secondo governo di Giuseppe Conte. Il quale sarebbe adesso costretto a mettere le sue doti di giurista, organizzatore e portafortuna, addirittura, al servizio di una causa ancora più disperata di quella del governo di un paese assediato, come tanti altri, dalla pandemia: la rifondazione e la guida del MoVimento 5 Stelle, per incarico diretto dell’“Elevato”, “garante” e quant’altro Beppe Grillo.

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A quest’ultimo è appena venuta anche la voglia di insegnare il loro mestiere a conduttori televisivi, registi, cameramen, elettricisti di scena o studio e simili per consentire agli eventuali ospiti pentastellati condizioni di garanzia, anzi di sicurezza, nelle loro prestazioni… artistiche e politiche, mettendoli al riparo da inconvenienti derivanti in gran parte dalla loro incompetenza.

E tutto questo nel silenzio più assoluto del sunnominato Conte, presumibilmente distratto dall’esame, in corso ormai da settimane, di statuti, contratti e simili del MoVimento e associazioni più o meno collegate per venirne in qualche modo a capo e sciogliere la riserva con la quale accolse l’incarico di rifondatore e capo una domenica mattina, in un albergo romano con vista sui ruderi dei Fori imperiali. Ruderi sicuramente più affascinanti e comunque storici delle polveri di stelle appena offerte all’ospite da Grillo in casco bianco da astronauta, o da marziano sbarcato con ritardo rispetto ai bei tempi – quelli sì – di Ennio Flaiano. Erano tempi di pace rispetto a questi di guerra che stiamo attraversando alle prese con quel nemico invisibile e mobilissimo che è il Covid-19, e varianti.

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