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Draghi nel mirino di Conte?

Draghi

I Graffi di Damato. Dietro le quinte del Quirinale tra timori e sollievi a sorpresa sulla sorte di Draghi

Al Quirinale naturalmente non avevano bisogno di apprendere dai giornali, fra cronaca e retroscena, la parte sotterranea della guerra esplosa sulla rifondazione del MoVimento 5 Stelle e sullo statuto predisposto all’occorrenza da Giuseppe Conte. Le antenne personali del presidente della Repubblica e quelle dei suoi collaboratori avevano già avvertito nei quattro mesi di lavoro trascorsi dall’ex presidente del Consiglio nel cantiere della rifondazione le progressive distanze ch’egli prendeva dall’azione del governo Draghi, pur nell’ambito di un confermato e “leale sostegno”. Quanto leale era sempre più difficile credere anche sul Colle seguendo i commenti del più contiano dei giornali come Il Fatto Quotidiano, impegnato sistematicamente a contestare le scelte del presidente del Consiglio, accusato di smontare via via tutte le cose fatte dal predecessore per recepire le posizioni delle componenti di centrodestra della maggioranza. E ciò con la complicità temuta di un Pd solo apparentemente o strumentalmente in polemica col leader leghista Matteo Salvini.

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Paradossalmente più scendeva la curva della pandemia, pur alle prese con le varianti e una certa confusione nelle comunicazioni sui vaccini, più saliva quella della insofferenza per il governo sotto le cinque stelle. E si avvertiva anche al Quirinale la sensazione che si stesse cercando di preparare qualche trappola a Draghi nel periodo ritenuto più adatto o sicuro com’è quello del cosiddetto semestre bianco. Che da agosto a fine gennaio prossimo, sino alla scadenza del mandato presidenziale, metterà le Camere al riparo dal rischio dello scioglimento anticipato: una via di uscita dalla crisi scartata per libera scelta dal capo dello Stato nei mesi scorsi, di fronte ad una pandemia ancora forte e al naufragio del tentativo di Conte di formare un suo terzo governo, o di salvare il secondo azzoppato dalle offensive di Matteo Renzi, ma da agosto impedita dalla Costituzione a Mattarella.

Non è detto, in verità, che il presidente della Repubblica sia per ciò stesso impedito durante i suoi ultimi sei mesi di mandato nelle funzioni di garanzia e di stimolo, e costretto quindi a subire chissà quali e quante iniziative di malintenzionati e simili. Ma di questo sembravano invece convinti i manovratori di una crisi, tendenti se non a disarcionare Draghi, consapevoli anch’essi del vantaggio costituito a livello europeo e mondiale dalla sua presenza a Palazzo Chigi, quanto meno a interrompere il suo presunto rapporto privilegiato con la Lega.

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Il presidente Mattarella, da ieri in missione ufficiale in Francia, già studiava nei giorni scorsi il modo di fronteggiare una crisi. Ciò che in qualche modo deve avere sorpreso anche lui è l’aiuto giuntogli nei fatti dal pentastellato apparentemente più furioso e genuino come si può considerare il fondatore, garante, elevato e quant’altro del MoVimento, cioè Grillo. Che ha praticamente tagliato le unghie politiche a Conte come leader politico in generale, e non solo come leader del MoVimento incautamente designato prima di conoscere non solo le sue bozze di statuto ma anche, o soprattutto, la quantità e la qualità delle distanze da un governo, quale appunto quello di Draghi, per il quale il comico genovese si era tanto speso pubblicamente guidando di persona la delegazione delle 5 stelle nelle trattative per la sua formazione. Ora i giornali prevedono ancora 15 giorni di “trattativa”, come ha titolato il Corriere, per sedare Conte, mentre al Fatto Quotidiano preferiscono titolare che “si litiga ancora”. E lotta continua fra notizie e desideri.

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