I Graffi di Damato. Il mistero della telefonata galeotta fra Grillo e Draghi, o viceversa
Attesa con curiosità pur scettica una smentita o una precisazione, entrambe mancate, della telefonata fra Mario Draghi e Beppe Grillo rivelata dal Fatto Quotidiano, e svoltasi a ridosso del Consiglio dei Ministri sugli emendamenti del governo alla riforma del processo penale all’esame della Camera, è rimasto il mistero di chi dei due abbia chiamato l’altro.
Se è stato Grillo a offrirsi da “palo”, come ha titolato il giornale di Marco Travaglio, nell’assalto furtivo al sostanziale divieto di prescrizione dopo la sentenza di primo grado introdotto nel 2019 dall’allora ministro pentastellato della Giustizia Alfonso Bonafede, può avere ragione, dal suo punto di vista, l’arrabbiatissimo Travaglio. Che ora, scrivendo di sé e dei suoi in terza persona, riferisce di un “pressing su Conte” perché “esca” dal MoVimento 5 Stelle, cui però non risulta iscritto, per vendicare con una scissione e con la rottura con Draghi il presunto tradimento.
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Con il suo intervento per telefono, anche sui ministri pentastellati perché votassero le scelte di Draghi e della “vispa Cartabia”, come Travaglio ha definito sarcasticamente la guardasigilli, Grillo avrebbe violato sotto le cinque stelle la tregua nello scontro con Conte segnata dal ricorso ad un comitato di saggi per la formulazione di un nuovo statuto. E si meriterebbe pertanto la rivolta dei parlamentari tentati da Conte, affezionatissimo alla prescrizione targata Bonafede, pronti alla scissione o comunque al boicottaggio, tra Camera e Senato, della prescrizione targata Cartabia. Che fissa tempi precisi per la “improcedibilità” penale fra appello e Cassazione. “Per fortuna – ha scritto ieri Travaglio – la porcata è ancora sulla carta… Chi ama la legalità e non vuole l’impunità tenga d’occhio i deputati e i senatori: il Fatto pubblicherà i nomi di quelli che voteranno a favore. Poi gli elettori faranno il resto”.
Se è stato invece Draghi a chiamare Grillo assumendone la capigliatura, come lo rappresenta Mannelli sempre sul Fatto Quotidiano chiamandolo “Psicodrago”, variante dello “Psiconano” spettante a Silvio Berlusconi, dissentirei dalle proteste di Travaglio e seguaci, o tifosi.
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Non va dimenticato che Grillo è stato l’interlocutore principale di Draghi, in rappresentanza del MoVimento 5 Stelle, nelle trattative per la formazione del governo in carica e della relativa maggioranza parlamentare. Tutto quello che è successo nel MoVimento dopo quelle trattative, dall’incarico di rifondatore conferito da Grillo a Conte una domenica mattina di febbraio al licenziamento, e poi a qualcosa che non si sa proprio come chiamare fra riassunzione, recupero, congelamento, sospensione, è storia privata degli interessati. Che il presidente del Consiglio ha appreso, come tutti noi, dai giornali e costituisce, essa sì, un’”anomalia”, come Conte ha preferito chiamare invece la prescrizione targata Cartabia e Draghi.
È, in particolare, l’anomalia del Movimento 5 Stelle, tornato in Parlamento nel 2018 come forza di maggioranza relativa e diventato strada facendo qualcosa obiettivamente di impalpabile, di indefinito, d’incerto, cui la legislatura è rimasta incondizionatamente appesa sino all’esplosione di una triplice emergenza – sanitaria, economica e sociale – che ha costretto il presidente della Repubblica a mandare per fortuna a Palazzo Chigi Mario Draghi, detto anche non a torto “Supermario”. Che piace sempre meno a Conte e sempre di più a Grillo, temo pensando a ciò che ne scrive ogni giorno Travaglio.