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Come si muove il portiere di Maio tra Conte e Grillo?

Di Maio

I graffi di Damato sulle mosse di Luigi di Maio 

Chissà se la bella vittoria degli azzurri sugli austriaci e l’arrivo dell’Italia nei quarti di finale dei campionati europei di calcio contribuirà a fare sbollire sconcerto, rabbia, paura e quant’altro sotto le cinque stelle fra i due Giuseppi, alla Trump, cioè Conte e Grillo, in ordine per ora solo alfabetico. E ad aprirli a quell’accordo per il quale sono impegnati in tanti nel MoVimento, a cominciare dall’ex capo e ora “solo” ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il quale, in verità, è spesso apparso nei rapporti con Conte più un competitore che un sostenitore. E così mi sembra che sia stato avvertito anche da Grillo, che non a caso- al termine dell’incontro con i parlamentari in cui aveva accusato Conte di averlo scambiato per un “coglione” ridimensionandone la figura come garante nel nuovo statuto- ha generosamente definito Di Maio “uno dei migliori ministri degli Esteri” italiani, quasi stimolandolo a nuove imprese o ritorni. Altro che la funzione di “pontiere” attribuito dai giornali, per esempio dal manifesto”, all’ex capo del MoVimento.

“Pontiere” nella storia della Dc volle essere chiamato con una corrente appena costituita il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani a metà degli anni Sessanta, quando Aldo Moro a Palazzo Chigi, alla guida dei primi governi “organici” di centro-sinistra, con la partecipazione cioè diretta dei socialisti, cominciò ad avere problemi con la sinistra del suo partito. Dove c’era chi voleva già scommettere sull’evoluzione del Pci ritenendolo più affidabile del Psi. Taviani si propose come pontiere, appunto, fra Moro e quella parte del partito rappresentata dai “basisti” guidati da Giovanni Marcora al Nord e Ciriaco De Mita al Sud.

Dopo le elezioni politiche ordinarie del 1968 la rottura si consumò invece tutta all’interno della corrente dei “dorotei”, fra Moro estromesso da Palazzo Chigi e Mariano Rumor smanioso di succedergli per una edizione “più incisiva e coraggiosa” del centro-sinistra, pur avendo sino al giorno prima accusato l’allora presidente del Consiglio di troppa cedevolezza ai socialisti e chiusura all’opposizione. Moro naturalmente non gradì e si diede un’estate di riflessione, all’ombra di un ombrellone a Terracina e di un governo balneare di Giovanni Leone a Roma. Taviani gli mandò Francesco Cossiga per esplorarne umori e progetti. Quando si convinse della irremovibilità dell’ormai ex presidente del Consiglio nel proposito di staccarsi dai dorotei e scavalcarli a sinistra teorizzando la famosa “strategia dell’attenzione” verso il Pci, e persino il movimento studentesco guardato con sospetto alle Botteghe Oscure, Taviani andò ad offrirsi a Rumor per rimpiazzare nel Consiglio Nazionale della Dc i voti di Moro e amici che sarebbero passati all’opposizione interna.

Nel successivo congresso Moro si sarebbe vendicato a suo modo di quello che aveva avvertito come un tradimento traducendo l’attività svolta ai suoi danni dal ministro dell’Interno nell’”operoso silenzioso dell’onorevole Taviani”.

Ma torniamo ai nostri giorni, cioè ai guai dei grillini, dati ieri dall’insospettabile Fatto Quotidiano nel titolo di testa di prima pagina a soli “2 giorni dalla morte”, ma orgogliosamente riproposti oggi da Marco Travaglio nel suo editoriale ben vivi col loro 15-18 per cento dei voti ancora raccolti nei sondaggi, forse grazie proprio a Conte. A Grillo pertanto, come gli suggerisce o intima una vignetta di Riccardo Mannelli, non rimarrebbe che “vaffancularsi” da solo. Lo farà?

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO.

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