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Storari gode

Paolo Storari

I Graffi di Damato. Clamorose la bocciatura di Salvi e la conferma di Storari alla Procura di Milano

Come in politica con la storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, secondo le interpretazioni di parte del compromesso di turno, così col verdetto del Consiglio Superiore della Magistratura sul sostituto procuratore di Milano Paolo Storari -confermato al suo posto dopo il trasferimento per incompatibilità ambientale chiesto dal Procuratore Generale della Cassazione Giovanni Salvi – si sono divisi fra lo Storari “assolto”, o comunque lasciato dov’è, del Fatto Quotidiano e del Corriere della Sera e il Salvi “battuto” del Riformista e, con minore evidenza, della Verità. C’è stato anche chi come la Repubblica per non sbagliare ha preferito togliere l’argomento dalla prima pagina, preferendone altri offerti dall’attualità.

La propensione favorevole all’accusa, come d’abitudine da quelle parti, è stata tradita dal Fatto Quotidiano scrivendo sopra la testata che “ora si vedrà chi ha sbagliato davvero”. Eppure è evidente che a sbagliare è stato il Procuratore Generale della Cassazione, la cui richiesta di trasferire Storari è stata bocciata, o respinta, come si preferisce. Non parliamo poi della pronta solidarietà raccolta da Storari fra i colleghi ambrosiani.

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Si è scritto da qualche parte, forse neppure a torto, che Salvi si è meritata o procurata la sconfitta per errore di motivazione, avendo chiesto il trasferimento di Storari non tanto per quello che aveva fatto – reclamando indagini immediate sulle rivelazioni dell’avvocato Piero Amara a proposito di una loggia massonica chiamata “Ungheria”, da un’omonima piazza romana, di grande influenza sulla magistratura e passandone i verbali all’allora consigliere superiore Piercamillo Davigo – quanto per “la risonanza mediatica” avuta dalla vicenda.

In effetti la motivazione era troppo modesta rispetto al merito del conflitto obiettivamente esploso nella Procura di Milano, il cui capo Francesco Greco peraltro è finito sotto indagine a Brescia. Dove non so se gli basterà, per uscirne indenne a pochi mesi dal pensionamento, ridenunciare “la slealtà e le menzogne” contestate al sostituto, diciamo così, ribelle. Che reclamava l’apertura formale di indagini con la sola o prevalente colpa di mettere così a rischio la credibilità di fonti usate dalla Procura ambrosiana in un processo per corruzione internazionale poi perso contro l’Eni, di cui Amara era stato un avvocato esterno.

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Peraltro la “risonanza mediatica”, per restare alle parole dell’accusa, non aveva impedito a Salvi nei mesi precedenti di sottrarvisi di fatto in un’altra clamorosa vicenda: quella di Luca Palamara e della sua partecipazione, prima come leader sindacale delle toghe e poi come consigliere superiore della magistratura, alla gestione correntizia e politicizzata delle carriere giudiziarie. A proposito delle quali Salvi aveva praticamente disposto, non so neppure se avendone davvero i titoli, che non potessero essere contestati giudiziariamente gli aiuti chiesti o ottenuti, o entrambi, dagli interessati all’assegnazione degli uffici via via assegnati dal Consiglio Superiore.

Per quei traffici, chiamiamoli così, di influenze nelle carriere giudiziarie Palamara è stato radiato dalla magistratura, con decisione del Consiglio Superiore appena confermata dalla Cassazione, prima ancora di risponderne in un processo, per cui non ha forse tutti i torti l’interessato, pur partecipe di un sistema non certo inventato da lui ma di sicuro neppure esaltante, a ritenersi a questo punto un capro espiatorio.

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