skip to Main Content

Tra regionali ed europee, cosa succede nel ‘campo largo’. Parla il prof. Vassallo

Elezioni Regionali Salvatore Vassallo

Intervista al prof. Salvatore Vassallo, professore di scienza politica e politica comparata presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, sui risultati delle elezioni regionali e sulle difficoltà di aggregazione del ‘campo largo’

Dal 2019 il centrodestra ha trovato una sua, nuova, quadratura, il centrosinistra non ci è ancora riuscito. Sia a livello partitico che, ed è peggio, a livello di corpo elettorale. È chiaro il messaggio che arriva dagli ultimi risultati elettorali e, ancor di più, dalla paradossale contesa, tutta interna al ‘campo largo’, per trovare un candidato condiviso in Basilicata e che, alla fine, ha visto escluse Italia Viva e Azione. Una confusione che, dalle elezioni regionali, getta una luce poco confortante sui prossimi appuntamenti, a partire dalle elezioni europee.

Di tutto questo ne abbiamo parlato con il prof. Salvatore Vassallo, professore di scienza politica e politica comparata presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna.

Alle ultime elezioni regionali abbiamo avuto il successo del ‘campo largo’ in Sardegna e quello del centrodestra in Abruzzo. In Basilicata abbiamo visto forti difficoltà del campo largo nella scelta di un candidato. Quale messaggio arriva per la politica nazionale?

Credo che i risultati elettorali e la difficoltà di trovare un candidato per le elezioni regionali in Basilicata dipendano dalla medesima sindrome. Il centrodestra si è ricomposto politicamente ed elettoralmente dall’inizio del 2019, dopo la parentesi che aveva aperto il Movimento 5 Stelle capace, negli anni precedenti, di attrarre una quota di elettori di centrodestra. Alle elezioni del 2022 il centrodestra ha presentato uno schieramento politicamente unito in grado di fornire risposte a un elettorato che, in realtà, era già pronto a sostenere un progetto di centrodestra.

Nel campo del centrosinistra, invece?

Dall’altra parte, invece, abbiamo visto una notevole segmentazione e conflitti sia tra l’elettorato che tra i vertici dei partiti. L’elettorato è diviso anche perché deliberatamente indotto dai rispettivi leader a esserlo. Ricordiamo che il M5S era il partito del “vaffa”. Quindi è chiaro che l’area dell’opposizione si ritrova da un lato con la necessità di ricreare un campo largo, viceversa lascerebbe al centrodestra la possibilità di vincere reiteratamente qualsiasi elezione di impianto maggioritario, dall’altro lato con la necessità di cercare la strada giusta per coalizzarsi. Dal punto di vista elettorale si è già visto che, al netto della fortunata vittoria in Sardegna, che possiamo considerare come una vittoria della candidata contro una cattiva prestazione del candidato avversario, anche in Sardegna, così come in Abruzzo, il centrodestra è elettoralmente cresciuto rispetto alle politiche del 2022. Invece il ‘campo largo’ si è ristretto. Ora questo deriva da due fattori.

Quali?

Il primo l’ho già detto. È difficile mettere insieme elettorati che sono stati spinti a considerarsi ostili. A questo si aggiunge il fatto che gli elettori dei 5 Stelle da sempre partecipano poco alle elezioni regionali; quindi, la summa delle varie componenti non fa mai il totale previsto sulla base dei risultati delle precedenti elezioni politiche. E poi i leader e le varie componenti non hanno una pratica consolidata di relazioni. Infine, nella vicenda lucana non è possibile non rintracciare un certo grado di imperizia nella leadership nazionale e locale.

L’ex governatore lucano Marcello Pittella, con una frase forte, ha sottolineato una certa preclusione da parte del Pd nei confronti del Terzo Polo alle ultime elezioni regionali e non solo. Quanto fa male al ‘campo largo’ l’esclusione delle forze rappresentate da Italia Viva e Azione?

Questo rischia di essere un problema. La scommessa della segreteria Schlein sembra puntare a creare una coalizione in grado di vincere contro il centrodestra esclusivamente mobilitando elettori che aspettavano una posizione più radicale del PD, cioè l’elettorato di sinistra. Ora, è possibile che ci sia una componente dell’elettorato da mobilitare in quell’area, in precedenza non sufficientemente motivata a partecipare da leader che hanno deciso di non fare accordi con la sinistra, come Walter Veltroni che decise di non fare alleanze con Sinistra Ecologia e Libertà. Elly Schlein ha chiaramente l’intenzione di rendere il Pd un partito di sinistra, ecologista, femminista e libertario. Cioè qualcosa che assomiglia un po’ a una grande SEL.

A questo si aggiunge che in parte della base, oltre che dei quadri, è maturata una specie di avversione radicale nei confronti dell’ex segretario del Pd Matteo Renzi. Alcuni considerano la segreteria Schlein come la conclusione di un percorso che doveva portare a depurare il Pd da qualsiasi cosa avesse a che fare con le posizioni espresse in passato dall’ex segretario Renzi. Quindi figuriamoci se sono contenti di avere rapporti di collaborazione con Renzi fuori dal Pd. Io penso che sia un rischio per l’equilibrio complessivo del sistema politico, perché mi sembra molto improbabile che la scommessa di Elly Schlein possa essere vinta. Cioè che senza l’apporto dell’area liberale ed europeista, che oggi è presidiata da Azione, Italia viva e +Europa, si possa creare un’area sufficientemente larga da battere il centrodestra.

La responsabilità è tutta della coppia Schlein – Conte?

La coppia Schlein – Conte dà l’impressione di considerarsi autosufficiente. Però il problema è anche in quell’area liberal-europeista che ha il suo elettorato ma che oggi è balcanizzata per conflitti spiegabili solo sulla base di un’analisi psicologica, se non psicanalitica, tra leader che sostengono la stessa cosa, al punto che sarebbero tutti nello stesso gruppo parlamentare europeo di Renew Europe, e che però non riescono a mettersi d’accordo su nulla.

Quindi, professore, possiamo dire che è impossibile vincere, quindi diventare maggioranza nel paese, tenendo fuori il centro?

Io uso con un po’ di circospezione la parola centro, perché può voler dire tante cose: da Forza Italia a Renzi e Calenda. Il centro esiste nella misura in cui esiste una forza politica che sia in grado di rimanere autonoma dai due poli e di esercitare un ruolo nei confronti delle altre coalizioni. Non mi sembra che esista un centro in questi termini, tanto più al momento. L’attuale divisione tra Azione, Italia viva, + Europa, rende questi vari soggetti irrilevanti.

Io direi che esiste una componente dell’elettorato di sinistra, liberale, europeista, filoatlantica, che può avere un ruolo, per le sue dimensioni, dato l’equilibrio attualmente esistente tra centrosinistra e centrodestra, e potrebbe dare al cosiddetto campo largo una chance di competere. Però è chiaro che è molto complicato da combinare con tutto il resto, per la ragione di cui dicevo all’inizio, il centrodestra è ritornato politicamente ed elettoralmente omogeneo il centrosinistra no.

Questi movimenti ci dicono qualcosa in vista delle europee?

L’unica cosa che si può prevedere per le europee sono le percentuali dei singoli partiti. Al momento le previsioni ci dicono che Fratelli d’Italia diventerà il primo partito, anche in termini di rappresentanza del Parlamento europeo e che sarà di gran lunga il principale partito del gruppo dei Conservatori Riformisti. La Lega, invece, rimarrà dentro Identità e Democrazia ma con un ruolo molto minore. Il Partito democratico, come si vede, ha un elettorato abbastanza stabile quindi, l’unico quesito sarà se otterrà più o meno voti rispetto al risultato non particolarmente brillante delle politiche 2022. Forza Italia, dopo la morte di Berlusconi, non si è dissolta ma ha acquistato una posizione di partito moderato nell’ambito della coalizione di centrodestra a guida Meloni. Dall’altra c’è una componente liberale di sinistra ed europeista che rischia di scomparire se non si mette d’accordo.

Secondo lei, alle prossime europee, lei quanto può essere utile la candidatura delle due delle leader dei due partiti più grandi italiani?

Innanzitutto bisogna dire che ci sono due tradizioni completamente opposte. Tutti i leader dei partiti di centrodestra, da Forza Italia ad AN alla Lega, hanno sempre presentato i propri leader come capolista in tutte le sue costruzioni. L’unica eccezione è stata nel 2019 per Forza Italia perché Berlusconi non era candidabile. A sinistra, proprio per segnare la diversità di approccio, di stile della leadership, di investimento nella formazione di una classe parlamentare europea, non è mai capitato che il leader si candidasse.

Ai tempi del partito comunista, Enrico Berlinguer si candidava in una sola circoscrizione, peraltro in una fase in cui il Parlamento europeo era più che altro una sede di discorsi, non un vero e proprio Parlamento operativo. Venendo a oggi io penso che qualche impatto possa averlo. Per quello che sappiamo dai numeri, Giorgia Meloni ha la possibilità di portare elettorato aggiuntivo alla lista di Fratelli d’Italia perché è abbastanza popolare anche tra elettori di partiti vicini. Nei sondaggi sulla fiducia nei confronti dei leader lei va abbastanza bene anche tra gli elettori di Forza Italia e della Lega.

E per quanto riguarda Elly Schlein?

Per quanto riguarda Elly Schlein le cose sono un po’ diverse. La sua scommessa può essere che la sua presenza mobiliti elettori che si asterrebbero. Ora, lei è particolarmente ben voluta dagli elettori di sinistra e verdi. Nel caso lei riuscisse ad ottenere quei voti potrebbe ottenere un risultato marginalmente positivo per il Pd ma rischiare di far andare sotto la soglia della sopravvivenza i suoi principali alleati di sinistra che gli ultimi sondaggi danno intorno al quattro per cento.

Leggi anche: Il caso Bari sarà un boomerang per il centrodestra?

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top