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Uso e abuso di Dpcm: i limiti del metodo Conte secondo il Prof. Lupo (Luiss)

Legge Sulle Lobby Bilancio Decreto Fisco-lavoro

Da quando è iniziata l’emergenza sanitaria a causa del Covid-19, si sono susseguiti numerosi Dpcm, che nella sostanza hanno sostituito il Parlamento. Così la pandemia ha aggravato la crisi del procedimento legislativo in Italia. I limiti del metodo Conte nella ricerca di Nicola Lupo, Professore ordinario di Diritto pubblico e Direttore del Master in Parlamento e Politiche Pubbliche della Luiss

“La pandemia da Covid-19, in Italia, ha avuto conseguenze dirompenti anche sul procedimento legislativo”. È quanto si legge nella ricerca di Nicola Lupo, Professore ordinario di Diritto pubblico e Direttore del Master in Parlamento e Politiche Pubbliche della Luiss. “E se le criticità che caratterizzano il procedimento di formazione delle leggi, certo, non si possono attribuire tutte all’emergenza pandemica, quest’ultima ha rappresentato un potentissimo acceleratore di tendenze già in essere. In particolare, da una parte si assiste alla riduzione della capacità del Parlamento di svolgere attività legislativa e, in modo correlato, all’incremento del ‘ruolo normativo’ del Governo. Un ruolo che senz’altro gli spetta, specie in forme di governo parlamentari, ma che sembra aver assunto proporzioni eccessive, dando luogo a un sostanziale monopolio in capo al Governo dell’agenda politico-normativa. Le avvenute violazioni delle norme e dei principi costituzionali, condannabili in sé, hanno peraltro effetti deleteri sulle politiche pubbliche. Un aspetto da non sottovalutare in particolare nei mesi in cui, all’Italia, è richiesto uno sforzo senza precedenti di programmazione, legislazione e responsabilizzazione dei soggetti chiamati a elaborare politiche settoriali per gestire al meglio le risorse del Recovery Fund europeo”.

LA RAPIDITÀ DEL DPCM RISPETTO AL DECRETO-LEGGE

Il Dpcm è un atto amministrativo emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Essendo considerato nella gerarchia giuridico-istituzionale di rango inferiore rispetto alla legge, è formalmente un atto di secondo grado. Il contenuto del Dpcm solitamente riguarda questioni tecniche e per la sua emanazione spesso vengono coinvolti esperti del settore, tecnici e studiosi della materia. Il Dpcm è rapido e quindi particolarmente adatto alle situazioni di emergenza ma, a differenza del decreto-legge, non coinvolge il Parlamento e quindi rappresenta solo la volontà della maggioranza politica. Per questo molte forze politiche si sono opposte all’utilizzo massivo dei Dpcm con i quali il dialogo democratico è ridotto, se non pari a zero. Il decreto-legge, a differenza del Dpcm, parte da un atto del governo ma deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, pena la decadenza. Inoltre, entrambe le Camere possono apporre emendamenti modificativi o aggiuntivi e stimolare il coinvolgimento dell’opposizione. Presupposto del Dpcm, infatti, è una situazione estremamente urgente, come catastrofi naturali o epidemie.

LE CRITICHE DI CASSESE A CONTE. PER AINIS SI TRATTA DI DECRETITE

Il frequente ricorso ai Dpcm ha suscitato numerose critiche da parte dei costituzionalisti. Il professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, di fronte alla possibilità palesata a luglio dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di prorogare lo stato d’emergenza al 31 ottobre, lo aveva paragonato a Orbán: “Non basta che vi sia il timore o la previsione di un evento calamitoso. Occorre che vi sia una condizione attuale di emergenza”, aveva scritto Cassese. Come riportato dal Foglio, per Michele Ainis, ordinario di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre, “La valutazione sui presupposti della proroga è di natura politica ma in ogni caso consiglierei al governo di ricorrere al decreto-legge che consente il coinvolgimento del Parlamento e i controlli da parte della presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale. L’ho definito il virus della decretite: le libertà e i diritti dei cittadini non possono essere limitati con un atto amministrativo, per giunta individuale a differenza del decreto-legge che è per sua natura collegiale ed è esposto alle verifiche delle Camere che devono convertirlo, del Quirinale che deve emanarlo e, in ultima istanza, della Consulta. Ci siamo assuefatti alla mortificazione del Parlamento”.

GLI EFFETTI DELETERI DEI DPCM SULLA QUALITÀ DELLE POLITICHE PUBBLICHE

Come ha scritto il professor Lupo, dunque, “I frutti negativi di questi processi di produzione normativa, nei quali, come si è visto, si registrano sistematiche violazioni della carta costituzionale, appaiono chiaramente identificabili in termini di qualità della legislazione e altresì delle politiche pubbliche che con tali atti legislativi si perseguono. Le violazioni delle norme e dei principi costituzionali sul procedimento legislativo non vanno stigmatizzate soltanto in quanto tali, ma anche perché così facendo si indebolisce la tenuta di elementi essenziali del nostro ordinamento, quali la responsabilità politica e la partecipazione della rappresentanza parlamentare alla formazione delle leggi, con pesanti ricadute in termini di qualità del processo democratico e, quindi, di legittimazione e di efficacia delle opzioni che in esso si compiono. Oltre che, evidentemente, in termini di fiducia verso il sistema politico e verso il Parlamento e le istituzioni tutte. Specie in vista delle opzioni strategiche che il nostro sistema istituzionale è chiamato a compiere per avvalersi del Next Generation EU, non è certo ricorrendo a decreti-legge omnibus dalla lunga gestazione endogovernativa, dall’impervio cammino parlamentare e dalla faticosa implementazione, che si può pensare di andare lontano. Al fine di evitare che questa opportunità, forse l’ultima a disposizione del nostro Paese, vada sprecata, occorre immaginare meccanismi istituzionali, anche innovativi, in grado di introiettare i vincoli europei, assicurare una adeguata compresenza di soggetti politici e istituzionali, delle forze sociali e dei tecnici, e introdurre i giusti incentivi al perseguimento, da parte di tutti gli attori, di opzioni sostenibili e lungimiranti”.

I LIMITI DEL METODO CONTE E LA PROPOSTA DI LUPO

Sul piano della legislazione, secondo Lupo, occorre quindi una discontinuità nel metodo che è stato fin qui largamente prevalente: “limitando cioè drasticamente il ricorso ai decreti-legge e alle leggi di conversione ‘omnibus’, in favore di leggi delega ben costruite e dalla rapida attuazione, grazie alle quali porre in essere riforme incisive e sistematiche, elaborate con il coinvolgimento attivo e trasparente dei diversi soggetti e interessi in campo, a partire dalle autonomie regionali. Quello di delega legislativa è un procedimento che, se ben concepito, è in grado di innalzare il livello di razionalità del processo decisionale e di offrire i giusti incentivi per compiere riforme organiche e stabili, almeno nei loro principi di fondo. Al tempo stesso, va restituita alle Camere una qualche capacità di (ri)elaborazione legislativa, che potrebbe essere incoraggiata dal riaccorpamento delle commissioni permanenti e dalla riorganizzazione del bicameralismo che faranno necessariamente seguito alla riduzione dei parlamentari confermata dal referendum costituzionale del 20-21 settembre 2020”.

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