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“In Francia c’è una generazione che grida vendetta”. Parla la giornalista Karima Moual

Moual Francia
La ferita non rimarginata del passato coloniale francese è alla base della rivolta di Nanterre e delle violenze in altre città della Francia. Conversazione con la giornalista Karima Moual 

Le violenze in Francia sembrano essersi placate. La Francia ha vissuto la prima notte di relativa calma, senza scontri, dopo una settimana di incontrollabili disordini. “Procediamo con grande prudenza” è il monito dell’Eliseo che la scorsa notte ha contato “solo” 150 fermi, circa un decimo della media delle notti passate. Tornare alla normalità non sarà facile, le micce sono ancora sparse sul terreno e un nuovo incendio non è un’ipotesi irreale. Infatti la Francia lascia schierato sul campo il massimo del suo contingente di poliziotti e gendarmi: 45.000 uomini.
Le violenze delle notti scorse, scatenatesi dopo l’omicidio di un 17enne alla guida di un auto da parte di un poliziotto, hanno ricordato molto da vicino quelle del 2005 che sconvolsero le banlieue di Parigi.
Di tutto questo ne abbiamo parlato con la giornalista e opinionista televisiva Karima Moual.

Perché, secondo lei, l’omicidio di un ragazzo a Nanterre ha scatenato rivolte in Francia così diffuse in diverse città?

Purtroppo, in Francia cova da troppo tempo un risentimento che nessuno ancora ha provato ad affrontare alla radice. È un risentimento che deriva da una grande delusione e una frustrazione profonda che, a sua volta, si è trasformata in odio e violenza. Quello che abbiamo visto in questi giorni è il frutto amaro di una Francia che si sveglia divisa – nonostante vi siano importanti storie di integrazione e inclusione nel tessuto sociale ad alti livelli che il nostro paese può solo sognare – purtroppo, però, bisogna constatare che la République non ha saputo includere tutti e cucire le ferite del passato coloniale. Non di possono analizzare gli eventi di oggi se non si torna al passato anche se quel passato non è nella memoria delle terze generazioni. Ci sono, dunque, molti elementi che riguardano la storia del passato di questo paese: la gestione del fenomeno migratorio, le politiche di inclusione, il segmento religioso rappresentato dall’Islam, le promesse e i fallimenti di un ascensore sociale che non è accessibile a tutti, la generosità del welfare diventato anch’esso un limite.

Questi nervi scoperti hanno trovato terreno fertile nelle periferie, i quartieri ghetto che negli anni sono cresciuti a dismisura trasformandosi sempre più in gabbie etniche dove le origini e le radici degli antenati hanno preso il posto del presente e del futuro che si doveva costruire. La disintegrazione ha partorito un radicalismo identitario, in risposta a una Francia che si è scoperta solo illusione e per pochi eletti. La morte di Nahel per mano di un poliziotto con i conseguenti disordini in altre città è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La polizia è Lo Stato, l’autorità con la quale si è rotta la fiducia già da troppo tempo. La violenza per mano soprattutto degli adolescenti è un allarme importante. Siamo alla terza generazione che non riesce a sentirsi percepita pienamente come cittadina francese. Se ciò succede in un paese europeo dove sul tema immigrazione si è speso non poco, è un segnale d’allarme per tanti altri paesi, compreso il nostro, che negli ultimi anni non si è distinto per lucidità e visione sul tema integrazione.

I manifestanti sono francesi di seconda o terza generazione. C’è qualcosa che non funziona nel sistema di integrazione francese?

C’è il fallimento delle politiche di popolamento che nessuno ha voluto affrontare. Le banlieue sono sempre lì, ancora più popolate, ghettizzanti e degradate. Quei francesi di terza generazione hanno avuto modo di capire sulla loro pelle che non sono percepiti da una parte di francesi come loro concittadini, ma sono e saranno per sempre solo i figli degli immigrati.

Quali sono i punti di contatto e le differenze tra i le violenze di questi giorni e i disordini nelle banlieue parigine del 2005?

Ci sono più punti di contatto anche se i due incidenti sono diversi, ed è questo il dramma. Sono passati quasi vent’anni ma siamo allo stesso punto. C’è una generazione che grida vendetta.

Nel 2005 si chiamò in causa l’Islam, quanto meno come fattore aggregante per i manifestanti. Oggi è ancora così? Per provare a spiegare le violenze in Francia pesa più la presunta appartenenza religiosa o una condizione di marginalità sociale?

Trovo sia veramente disonesto intellettualmente trascinare ogni volta l’Islam anche quando non c’entra nulla, solo per il piacere di marginalizzare e divedere il più possibile. In questi giorni i soliti islamofobi di professione si sono ingegnati per scomodare ancora una volta l’Islam.

Bene, bisogna chiarire che la questione Islam, il suo posto e il suo ruolo in Francia come in Europa ce l’ha, è un tema di attualità che dovrà prima o poi essere affrontato con serietà e senza demagogia perché è una sfida anch’essa parte di un progetto di inclusione e integrazione che dovrà essere messo a punto da qualcuno, ma con la brutta storia di Nahel non c’entra proprio nulla. Il fattore aggregante di quanto accaduto è la frustrazione, le condizioni di marginalità sociale e un rapporto con le forze dell’ordine che è diventato sempre più scontroso in questi ultimi anni soprattutto con le parti sociali più fragili e ghettizzate. È come se ci si sentisse di valere meno, e il sangue versato di Nahel per mano di quel poliziotto ha acceso la miccia dell’orgoglio. Come a dire, la nostra vita vale. Siamo tutti Nahel, e mettiamo a ferro e a fuoco l’intero paese perché si sappia.

Nel corso delle notti di violenze in Francia è morto un vigile del fuoco mentre tentava di domare un incendio. C’è il rischio che il pugno delle forze dell’ordine sia ancora più duro?   

Già nel 2017 si è dato più potere alla polizia con risultati non proprio edificanti. Il punto è che chi ha in mano la situazione deve anche capire che non è il caso di incentivare le tensioni ma di disinnescare quella spirale di astio e odio che oggi si tirano dietro le forze dell’ordine. Serve riportare ordine ma anche fiducia tra lo Stato e i cittadini. Le forze dell’ordine devono essere percepire come forze di difesa e non di violenza.

Secondo lei nel nostro paese c’è il rischio di vedere violenze e disordini come in Francia? 

Come quelli francesi magari no, perché lì ci sono specificità storiche che non ci riguardano, ma mi preme ricordare che anche da noi la situazione non è delle migliori. Si parla molto di sbarchi ma niente o nulla per quanto riguarda le politiche di integrazione. Mentre i migranti regolari e i loro figli sono fantasmi nel racconto. La legge sulla cittadinanza è ancora ferma al palo. I ghetti li stiamo coltivando anche noi nelle grandi città con la differenza che in Italia non c’è nemmeno il sogno di sentirsi pienamente italiani. Perché anche se nati o cresciuti in Italia si rimane stranieri. #Immigratipersempre anche se non si è mai emigrati. Basti pensare all’ultimo caso di cronaca. L’omicidio barbaro di Michelle Causo per mano di un suo coetaneo. Invece di trattare il caso come caso di cronaca, ci si è distinti non solo nei media ma anche da parte dei partiti di destra come la Lega, nel voler etnicizzare un omicidio a tutti i costi specificando le origini dei genitori del presunto omicida, e infine forzando l’interpretazione dei fatti per poter dire il solito: ci sono troppi immigrati. Non c’entra nulla ma pare non ne possono fare a meno.

Sulla narrativa invece, due titoli che possono essere la miglior sintesi dello stato dell’arte in Italia. “ANSA: È stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per l’accusa di omicidio il 17enne, originario dello Sri Lanka ma nato a Roma, accusato di avere ucciso una coetanea poi ritrovata in un carrello della spesa nel quartiere Primavalle della Capitale. Il Giornale: Uccisa e gettata in mezzo all’immondizia come fosse spazzatura. Orrore a #Roma, quartiere #Primavalle. Michelle Maria Causo, una ragazza minorenne è stata uccisa da un minore straniero di origini nordafricane, naturalizzato italiano”. Ecco, fatico a capire cosa possano aggiungere le origini dei genitori di un omicida per le indagini ma quel che è certo, è che in Italia questo atteggiamento così morboso di etnicizzare i fatti di cronaca anche quando non hanno alcun elemento aggiuntivo se non quello di fomentare pregiudizio e odio, ha un significato preciso, e di certo non promette nulla di buono. Rispetto alla Francia è più chiaro che, ad oggi, si è cittadini di serie B anche se con cittadinanza italiana nati o cresciuti in Italia. Insomma, almeno non ci si illude. Ma fino a quando?

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