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Trattative avvelenate: tutti i casi sospetti da quando governa Putin

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Da Navalny a Litvinenko e ora Abramovich: la lista dei presunti casi di avvelenamento sotto Putin si fa sempre più lunga, e pure inquietante

L’ultimo, ma solo in ordine di tempo, è stato l’oligarca russo Roman Abramovich che avrebbe presentato i sintomi di riconducibili a un possibile avvelenamento dopo un incontro a Kiev all’inizio di marzo: occhi rossi e desquamazione della pelle, in particolare delle mani. Anche i negoziatori ucraini, a eccezione di una persona, avrebbero presentato le medesime reazioni, sebbene il consigliere della presidenza e capo negoziatore ucraino, Mikhailo Podolyak, abbia smentito le ipotesi di un tentato avvelenamento da parte russa. Ma cosa sappiamo?

UN AVVELENAMENTO PER FAR SALTARE LE TRATTATIVE

Secondo Bellingcat si tratterebbe di un avvelenamento a base di non specificati agenti chimici, o mediante l’utilizzo di radiazioni microonde. Non riguarderebbe i cibi, dal momento che, proprio per prevenire simili rischi, le delegazioni avrebbero mangiato cioccolata confezionata e bevuto prodotti sigillati. Il tentato avvelenamento sarebbe avvenuto al termine del tavolo di trattative dopo le 22 del 3 marzo, in territorio ucraino, quando i negoziatori si sono ritirati nei loro appartamenti.

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Bellingcat sostiene che le dosi sarebbero state limitate, in modo “non da uccidere, ma soltanto spaventare i negoziatori”. Per il Wall Street Journal, i responsabili del presunto avvelenamento sarebbero i falchi del regime di Mosca (leggasi: Vladimir Putin) che vorrebbero far deragliare i complicatissimi negoziati di pace tra Russia e Ucraina, già sulla lama del coltello. È improbabile? Si tratta di una ricostruzione degna dei romanzi distopici di Tom Clancy? Può essere, tuttavia, non è la prima volta che casi di avvelenamento capitano sotto il lungo governo di Vladimir Putin…

L’AVVELENAMENTO DEL PRESIDENTE UCRAINO YUSHCHENKO

Il caso più celebre è senza dubbio l’avvelenamento del candidato alle elezioni presidenziali ucraine e leader dell’opposizione, Viktor Yushchenko. I fatti risalgono a circa vent’anni fa, al 2004, quando Yushchenko venne ricoverato in Austria con tutti i sintomi di un avvelenamento da diossina. Riuscì a salvarsi, riportando sul viso i segni della sua lunga e difficile battaglia per la vita. Yushchenko raccontò di essere stato avvelenato da tre uomini durante cena. La sostanza sospetta sarebbe stata disciolta in una minestra.  Uno di loro era l’ex numero due dei servizi ucraini, Volodymyr Satsyuk, che ha riparato a Mosca dove ha poi ricevuto la cittadinanza russa. Yushechenko sfidò ugualmente il filo-russo Viktor Yanukovych al ballottaggio delle presidenziali il 23 novembre 2004, uscendone sconfitto ma riuscì a ottenere la ripetizione del ballottaggio chiamando in piazza la popolazione dato che erano alti i sospetti di brogli e al bis fu proclamato vincitore.

L’AVVELENAMENTO DELLO 007 CHE ACCUSAVA PUTIN

Un altro avvelenamento sospetto di uno dei nemici di Vladimir Putin riguarda l’ex agente dei servizi russi dell’Fsb, Alexander Litvinenko, fuggito a Londra nel 2000 dopo aver accusato l’inquilino del Cremlino e, a cascata, i suoi superiori, di aver ordito l’assassinio dell’oligarca Boris Berezovsky (sfuggito a diversi attentati e infine trovato morto dopo essersi impiccato nel bagno della sua casa ad Ascot, in Inghilterra, il 23 marzo 2013) e della giornalista Anna Politkovskaya, strenua oppositrice del regime. Il 1 novembre 2006 Litvinenko fu ricoverato in ospedale in situazioni disperate, aggredito da sostanze che consumarono i suoi organi interni per oltre 20 gironi.

Morì il 23 dello stesso mese e l’autopsia rivelò che si trattasse di avvelenamento da polonio, una sostanza altamente radioattiva che, secondo l’accusa di Londra, sarebbe stata messa nel bicchiere dell’ex spia russa da due connazionali durante un incontro in un albergo di Londra. Mosca negò l’estradizione dell’agente dell’Fsb Andrey Lugovoi e probabilmente, prima dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, questo, assieme al caso Skripal (vedi sotto) è stato il frangente in cui le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono state maggiormente tese.

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Infatti il 22 gennaio 2016 un’inchiesta britannica sulla morte per avvelenamento dell’ex agente del Kgb concluse che l’operazione per ucciderlo venne «probabilmente autorizzata» dal presidente russo Vladimir Putin.

AVVELENATI ANCHE I GIORNALISTI

Un caso meno noto in Occidente è il tentativo di avvelenamento subito dal giornalista Kara Murza, vicino a Boris Nemtsov, ex vice premier ai tempi di Boris Eltsin, fra i principali critici del presidente Vladimir Putin, assassinato con quattro colpi di pistola alle spalle a Mosca il 27 febbraio 2015 (ne abbiamo parlato qui visto che potrebbe essere coinvolto il ceceno Ramzan Kadyrov) mentre si trovava in compagnia della sua fidanzata ucraina. La sua opera viene portata idealmente avanti dalla figlia, Zhanna Nemtsova, 37 anni, che sostiene che l’Occidente sia stato finora troppo morbido con Mosca.

I fatti risalgono due anni dopo l’assassinio di Nemtsov, quando il giornalista russo del movimento dissidente Open Russia, viene ricoverato d’urgenza in terapia intensiva ad appena 35 anni. Lo salverà un trasferimento in un ospedale estero, dove gli verrà diagnosticato l’avvelenamento da sostanza sconosciuta: l’oppositore di Putin non farà più ritorno in Russia.

NOVICHOK, LA FIRMA DEL KGB

Fece molto più scalpore il doppio tentato omicidio di Sergei Skripal, ex 007 russo e di sua figlia Yulia trovati accasciati su una panchina della città britannica di Salisbury, avvelenati con un agente nervino, il novichok che contaminò anche un poliziotto britannico che per primo prestò loro soccorso.

I giornali tornarono a parlare di novichok a seguito dell’avvelenamento di un altro storico oppositore di Putin, Alexei Navalny, finito in coma nell’agosto del 2020 durante un volo da Tomsk a Mosca. L’aereo fece scalo d’emergenza a Omsk, dove il blogger fu ricoverato ormai in coma. Su pressione di Francia e Germania, Navalny fu trasportato a Berlino il 22 agosto all’ospedale la Charitè e riesce a salvarsi. Tornato in Russia nel gennaio 2021, Navalny fu subito arrestato e nuovamente condannato al carcere: questa volta la condanna è stata a nove anni e ha suscitato la ferma condanna dell’intero mondo occidentale. Si può dire che già allora Putin avesse gettato la maschera mostrando al mondo che non tollerava l’opposizione. L’Occidente, però, fingerà di accorgersene solo con l’invasione di Kiev.

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