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L’agenda piena e la poltrona vuota di Salvini
Ha fatto discutere, e perché, l’assenza del vicepremier Salvini durante le comunicazioni di Giorgia Meloni in Parlamento. I Graffi di Damato
Per un po’ di tempo nella scorsa legislatura la politica e i giornali ebbero da fare, scrivere, lanciare messaggi e quant’altro sulla famosa “agenda Draghi” a Palazzo Chigi, da portarsi o no al Quirinale, dove il premier non aveva nascosto l’ambizione di trasferirsi, o da lasciare in eredità chissà a chi dopo le elezioni, anche se era scontata la successione di Giorgi Meloni. Che già dai banchi pur dell’opposizione aveva apprezzato quell’agenda nella parte non secondaria della politica estera, e più particolarmente della guerra in Ucraina. Quella di Gaza doveva ancora arrivare. Ma anche su questa la premier si trova in sintonia con quelle che si possono prevedere le opinioni di un atlantista come Draghi: comprensione quanto meno per gli israeliani, come diceva Aldo Moro, sempre da Palazzo Chigi, per gli americani impantanati nel più lontano Vietnam, pur tra i soliti auspici di tregue e di pace.
Ora più che l’agenda della Meloni, particolarmente impegnata sul fronte internazionale, dove le riesce di muoversi più agevolmente che sul fronte interno, attira l’interesse dei giornali e delle opposizioni l’agenda del vice presidente leghista del Consiglio e ministro delle Infrastrutture – ex Lavori Pubblici, Trasporti e un po’ anche Marina Mercantile – Matteo Salvini. Che l’ha sempre fitta di appuntamenti: tali e tanti da offrirgli spesso l’occasione di disertare quelli ai quali è atteso, a torto a ragione, in Parlamento accanto alla premier. Che invece può contare di più sull’altro vice presidente, il forzista Antonio Tajani.
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E così ieri, alla vigilia del Consiglio Europeo di domani, specie per avere precedentemente apprezzato la vittoria elettorale di Putin in Russia, dalla quale invece la premier ha preso le distanze, specie nelle zone dell’Ucraina annesse e sotto occupazione militare degli invasori, Salvini con l’assenza al Senato ha creato un altro dei suoi casi politici. Da cui la premier e i sostenitori mediatici hanno cercato di uscire osservando che in Parlamento contano più i voti dei leghisti che la presenza di Salvini in aula sui banchi del governo.
Il fatto è però che qualche volta mancano anche i voti dei leghisti. O sono difformi da quelli degli altri gruppi della maggioranza, com’è recentemente accaduto, prima in commissione e poi in aula proprio al Senato, sul problema del terzo mandato dei cosiddetti governatori. Che sarebbe poi soltanto o prevalentemente il problema del terzo mandato di Luca Zaia in Veneto, mancando il quale Salvini potrebbe trovarsi fra i piedi lo stesso Zaia come concorrente alla guida di una Lega non più col vento elettorale sulle vele, precipitata in cinque anni dal 34 per cento delle europee del 2019 all’8 per cento appena attribuitogli dall’ultimo sondaggio Ipsos, pari a quella Forza Italia sorpassata invece nelle elezioni regionali d’Abruzzo.