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“L’autonomia differenziata non è la secessione dei ricchi”. Parla Luca Zaia

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Conversazione con il presidente del Veneto Luca Zaia sul tema della riforma dell’autonomia differenziata

La riforma dell’autonomia differenziata non è un attacco alla Costituzione ma un furono gli stessi Padri costituenti a introdurre il regionalismo per “combattere centralismo e uniformità ed assicurare alle collettività locali un notevole grado di autogoverno”. A parlare così il costituzionalista Sabino Cassese che valuta, Costituzione alla mano, il progetto di riforma del ministro Calderoli.

Accusata di essere “la secessione dei ricchi”, la riforma è stata approvata in Consiglio dei ministri lo scorso 2 febbraio. Uno dei suoi più grandi sostenitori è il Presidente del Veneto Luca Zaia al quale abbiamo chiesto di fare il punto sulla riforma e provare a fugare i dubbi circa un presunto sbilanciamento della riforma a favore delle regioni più ricche del Nord.

Abbiamo bisogno della riforma dell’autonomia differenziata? Quali sono i vantaggi e quali i rischi?

È l’unica vera riforma che può garantire un’alternativa a questo Paese. Diversamente il rischio reale è il default. È una riforma a saldo zero perché non porta via nulla a nessuno; nel momento in cui si ottiene il trasferimento di una competenza si ottengono anche le risorse che lo Stato impiegherebbe se la trattenesse. L’autonomia è un’assunzione di responsabilità a fronte di un centralismo che non dà risposte, è la riduzione delle distanze tra i cittadini e il potere decisionale in alcuni specifici ambiti. Sono convinto che rappresenti l’occasione per un nuovo rinascimento e che le stesse regioni del Sud potrebbero avere una grande opportunità di riscatto. L’autonomia ‘meritocratica’ permette di ottimizzare le risorse che, se venissero lasciate nei territori, si moltiplicherebbero con beneficio per tutto il tessuto nazionale.

Presidente Zaia la riforma dell’autonomia differenziata si pone nella scia della riforma costituzionale del Titolo V del 2001. Secondo lei su quali aspetti della riforma del 2001 la nuova riforma dovrebbe intervenire?

Prima ancora che nella scia della riforma costituzionale del 2001, l’autonomia si pone in piena linea con l’architettura della Costituzione repubblicana varata nel 1948. La nostra Carta fondamentale, infatti, nasce squisitamente autonomista. Lo stesso Luigi Einaudi, nella sua veste di Padre costituente, sottolineava che si sarebbe dovuto dare a ognuno l’autonomia che gli spetta. Comunque, la Costituzione prevede la possibilità per le Regioni di avviare una trattativa su 23 materie di competenza legislativa. Noi come Veneto abbiamo richiesto di avviarla su tutte quelle possibili e ci sentiamo pronti con responsabilità. La cosa fondamentale è arrivare rapidamente a definire un perimetro, all’interno del quale andare a mettere nero su bianco le intese tra lo Stato e ogni singola regione aspiri all’autonomia differenziata.

Secondo lei quali sono gli aspetti sui quali si dovrebbe lavorare affinché questa riforma non attivi un processo disgregativo?

È prioritario uscire da alcuni luoghi comuni, probabilmente studiati ad arte da chi rifiuta l’idea di cambiamento e rifiuta le alternative all’assistenzialismo. L’autonomia non è la secessione dei ricchi e non è affatto in contrasto con l’unità del Paese. Anzi, la storia dimostra che il centralismo è centrifugo e il federalismo è centripeto. Non è messa in discussione la solidarietà tra le regioni. Se guardiamo la compattezza di paesi importanti come la Germania, gli Stati Uniti, l’Australia, il Canada, la Svizzera, la stessa Gran Bretagna, rileviamo che sono stati costruiti su solide basi federali. Il regionalismo differenziato sarà il volano di un efficientamento nell’erogazione delle risorse. Si passerà da un sistema in cui le risorse sono elargite a pioggia a un altro che le eroga in modo mirato. Sarà l’occasione per valorizzare quelle realtà che già funzionano e creare le condizioni per una reale ripresa di quelle che hanno più bisogno.

Presidente Zaia numerosi amministratori del sud hanno scritto al Presidente Mattarella preoccupati dai risvolti negativi della riforma dell’autonomia differenziata. C’è il rischio che la riforma sfavorisca il sud?

Un pericolo che nessuno vuole e nessuno cerca. Nord e Sud sono legati come due fratelli siamesi: uno vive finché vive anche l’altro e se muore uno morirà anche l’altro. Il regionalismo italiano, però, è stato impostato fino ad oggi secondo una logica di uniformità con effetti devastanti. Il risultato è un gap tra regioni del Nord e del Sud che non ha eguali in altri paesi. Se oggi ci sono aree del nostro paese in cui i cittadini vedono le immondizie lasciate accumularsi fuori dalle loro case o devono fare le valige e intraprendere un viaggio per avere assistenza e cure degne di tale nome, la colpa non è dell’autonomia perché non è ancora mai stata applicata. Se fossi il governatore di una regione del Sud non avrei dubbi, invocherei le opportunità del regionalismo.

È rischioso che i Lep siano definiti attraverso una cabina di regia con un Dpcm?

Lo ha spiegato molto bene il ministro Calderoli: i costi e i fabbisogni standard in diversi ambiti sono stati attuati già in altre occasioni con un Dpcm. C’è la legge di Stabilità, che demanda al Consiglio dei ministri l’approvazione di una serie di decreti che servono a definire i Lep e a riguardo ci sono illustri precedenti come per i Livelli essenziali dell’assistenza sanitaria e quelli in ambito ambientale.

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