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Cosa nasconde la missione russa in Italia ai tempi dello scoppio del Covid?

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I recenti attacchi di Mosca all’Italia riportano a galla vecchi dubbi sulla reale portata della missione umanitaria russa allo scoppio della pandemia di Covid

Non c’è nulla di più odioso e cafoncello di rinfacciare un aiuto dato. Vale nei rapporti interpersonali, vale a maggior ragione in quelli tra diplomazie, dove il linguaggio dovrebbe essere più felpato del consueto. Invece, nel week end, il ministero degli Esteri russo, Alexey Paramonov, prima ha attaccato il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, accusandolo di essere “uno dei falchi” nonché “l’ispiratore della campagna antirussa in seno al governo italiano”, quindi ha rivendicato l’aiuto dato all’Italia durante la fase più dura della pandemia inviando una missione umanitaria.

Per molti, il fatto che la Russia, potenza nucleare, abbia deciso di attaccare, tra tutti i Paesi, proprio l’Italia potrebbe essere solo il segno dello stress per come stanno andando le cose in Ucraina: piuttosto male. Altri hanno sottolineato che potrebbe dipendere dal fatto che Mosca si aspettasse una sponda italiana, quanto meno una certa neutralità del nostro governo, considerate le forze storicamente pro-Putin (di fatto, tutto il centrodestra + il M5S) e soprattutto la nostra dipendenza sul fronte energetico.

LE TANTE STRANEZZE DELLA MISSIONE RUSSA ALLO SCOPPIO DEL COVID

Ma c’è chi ha iniziato a sospettare che l’attacco russo nasconda ben altro. E che aver rinfacciato l’aiuto dato ai tempi del Covid non sia stata una semplice caduta di stile, ma contenga tra le righe un messaggio ben preciso… e chi vuole intendere intenda. Del resto, che la missione Dalla Russia con amore fosse sospetta lo ha sempre sostenuto il giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni, che aveva subito evidenziato la stranezza che la delegazione moscovita giunta in Italia per prestare soccorso allo scoppio della pandemia si componesse di soli 28 medici, appena 4 infermieri e da ben 72 militari. Perché tutti quei soldati?

 

Il quotidiano torinese si soffermò a lungo sulle peculiarità di quella missione, giungendo a ipotizzare che avesse come obiettivo strategico quello di intaccare i rapporti fra l’Italia e la Nato. In merito Jacopo Iacoboni argomentò che gli aiuti fossero «all’80% inutili», dato che, per esempio, le mascherine erano appena 326 mila mentre il solo Egitto ne aveva mandate due milioni. Quanto ai seicento ventilatori polmonari, alcuni facevano parte di un lotto finito sotto inchiesta negli USA perché, una volta collegati al pazienti, s’incendiavano.

 

Il governo Conte diede comunque altri numeri: i DPI non sarebbero stati trecentoventiseimila ma 521.800, i ventilatori polmonari non sarebbero stati 600 ma 30 (sì, trenta) e poi seguivano: 1. 000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10. 000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali. Infine, venne fuori anche che all’Italia era stato chiesto il pagamento del carburante dei voli e di spesare il soggiorno della delegazione.

Un particolare non di poco conto è stato aggiunto dal New Yorker il primo febbraio del 2021, quando ha rivelato che Mosca ha sviluppato il vociferato vaccino Sputnik (che le autorità europee non hanno mai riconosciuto come valido e sicuro) partendo dal DNA  di un cittadino russo ammalatosi in Italia il 15 marzo. Si sa che la Russia aveva chiesto alla Cina di accedere ai dati dei pazienti di Wuhan, ottenendo risposta negativa: potrebbe essere che il suo interesse fosse allora quello di ottenere campioni biologici nel solo altro Paese in cui si erano verificati i contagi. In questo caso, perché nasconderlo?

Si arrivò perfino a ipotizzare che la missione umanitaria fosse una missione dell’intelligence russa. Dato che l’intera vicenda è stata gestita a livello personale dall’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, con Vladimir Putin (pare che gli altri componenti del governo scoprirono tutto a cose fatte) le frasi di sabato del ministero degli Esteri russo, Alexey Paramonov potrebbero lasciare intendere che Mosca è pronta a rivelare il contenuto di quegli accordi.  «Lo stesso Copasir – replicano indispettiti dal M5S – ha potuto accertare che quella missione russa si è svolta esclusivamente in ambito sanitario, sempre sotto il controllo dei mezzi militari italiani».

Qualsiasi sia la verità sulla missione russa a Bergamo ai tempi del Covid, è innegabile che La Stampa fece solo il suo lavoro, investigando. Un lavoro che non piacque a Mosca. Il portavoce del ministero della Difesa russo, il maggior generale Igor Konashenkov, scrisse infatti sui social media che il giornale torinese fosse affetto da “russofobia” e concludeva con parole che avevano il sapore di una minaccia: “Qui fodit foveam, incidet in eam (Chi scava la fossa, in essa precipita)”. Forse quella frase, più di tanti numeri, stranezze e interrogativi, proietta ombre inquietanti sulle reale portata della missione russa a Bergamo allo scoppio del Covid…

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