Un'inchiesta giornalistica internazionale accusa l'Unione europea di finanziare la deportazione di profughi afgani e siriani…
Perché occupare la Russia è (o è stata) una fissazione dell’Occidente
La guerra all’Ucraina da parte della Russia di Putin, tra corsi e ricorsi storici, L’analisi di Riccardo Pennisi, Aspenia
L’invasione dell’Ucraina ordinata da Putin e il ritorno della guerra in Europa dopo ottant’anni (“stato contro stato”, una guerra classica insomma, cosa che in Yugoslavia non era accaduta), sono eventi epocali, che marcano un’epoca e modificano il corso della storia; così come lo sono le loro conseguenze sugli attori protagonisti, e sui comprimari.
Mentre Russia e Occidente misurano la loro capacità di resistenza e adattamento nelle piane ucraine – che di catastrofi umane e militari ne hanno viste a volontà, nella storia – in un’Europa che si scopre a rimorchio di agende internazionali decise altrove (bonjour!) si diffonde l’idea del riarmo. Le ragioni offerte all’opinione pubblica sono diverse: Putin invaderà Estonia e Moldavia se vince in Ucraina, l’Europa non può dipendere dalla protezione americana, l’Europa non può permettersi di dipendere dalle catene industriali globali per la propria sicurezza… Eccetera.
LA GUERRA CONTRO LA RUSSIA E’ TRA I FANTASMI DELLA CULTURA DELL’OCCIDENTE
Non volevo discutere qui queste idee né la loro solidità. Ma sottolineare un altro aspetto della questione: il fatto che una guerra capitale, globale e decisiva proprio contro la Russia sia tra i fantasmi, o magari diciamo le inquietudini, o le fantasie (a qualcuno l’idea piace proprio), più diffuse e persistenti nel pensiero politico e culturale dell’Occidente.
Certo, si dirà, la Russia, come “capo” del blocco sovietico, è stata la rivale mondiale dell’Ovest per mezzo secolo. Ma non è solo questo: anche prima della Guerra Fredda l’idea di un’invasione mirata a sottomettere politicamente, culturalmente e territorialmente i russi aveva fior di adepti in Europa. Hitler non aveva alcun bisogno strategico di attaccare l’Unione Sovietica (con cui si era appena accordato, d’altronde, con reciproci benefici), e poteva tranquillamente dedicarsi a sottomettere il resto del Vecchio continente, forte dell’immane potenza industriale e militare tedesca: magari se lo avesse fatto il suo impero sarebbe durato davvero “mille anni”. E invece ha cercato e trovato la sua fine in Russia. Lo stesso vale per Napoleone, padrone d’Europa che non si sentiva realizzato senza la caduta dell’Impero degli Zar.
E anche adesso, dopo la Guerra Fredda, quest’idea di fondo resiste. Dal punto di vista militare, industriale, demografico l’odierna potenza della Cina fa apparire – con tutto il rispetto – ridicola quella della Russia. Russia che oggettivamente non è riuscita a piegare nemmeno un failed-state come l’Ucraina, prima ancora che arrivassero gli aiuti occidentali. Nella stessa Ucraina si combatte su una superficie territoriale piuttosto ridotta, con il fronte fermo o quasi da mesi. Eppure è “contro Mosca” che ci vediamo combattere un’altra guerra decisiva. Addirittura di sopravvivenza.
L’OCCIDENTE CICLICAMENTE AUSPICA LA SOTTOMISSIONE DELLA RUSSIA
Mentre ci chiediamo perché ciclicamente immaginiamo possibile o auspicabile la sottomissione della Russia o la sua occidentalizzazione (colpa della Russia, del suo temibile imperialismo? o nostra, dell’incapacità occidentale di accettare l’altro?), diamo un’occhiata a questo numero di Collier’s del 1951. Era un settimanale americano progressista di larga diffusione – ci scriveva gente come Scott Fitzgerald, Salinger, Vonnegut, Bradbury, Dahl, e decine di altre celebrità – che dedicò un’intera edizione a raccontare lo svolgimento della Terza guerra mondiale.
In maniera geniale, la presentò come un insieme di reportage scritti nel 1960, dunque nel futuro, a conflitto finito, con il titolo “Anteprima di una guerra che non vogliamo”. Conflitto finito, ovviamente, come si vede già dalla mappa in copertina, con la vittoria degli Alleati: gli Stati del Patto di Varsavia tutti occupati, col bel soldato USA-ONU in primo piano. Incluse le repubbliche baltiche. E l’Ucraina. A Mosca, città libera, il quartier generale delle forze di occupazione.
Le illustrazioni sono fantastiche nel loro genere. Ecco come se la figurarono: l’Unione Sovietica organizzava un golpe per eliminare il Maresciallo Tito, il leader ribelle della Yugoslavia che non voleva allinearsi ai dettami del Patto di Varsavia. L’attentato falliva, ma l’Armata Rossa non lasciava il paese. L’ONU allora dichiarava guerra all’URSS. Mosca prendeva l’iniziativa, invadeva l’Europa occidentale e lanciava una selva di atomiche sugli Stati Uniti. Pian piano però il mondo libero si riorganizzava, gli Alleati ricacciavano i russi nel loro territorio, arrivava l’atomica anche sulle città sovietiche, e la guerra per mare, aria e terra continuava finché il regime comunista non implodeva.
A quel punto, col trionfo delle forze del bene, in Russia rinasceva la religione, l’operosità, il libero sviluppo della personalità, la libertà di opinione e associazione. La Russia si trasformava insomma in un perfetto avamposto WASP, cioè dell’America bianca e protestante, perché non c’era dubbio che i russi avrebbero abbracciato esattamente quel modello, si sarebbero comportati secondo quei valori. Gli articoli si chiudono con la storia d’amore tra un soldato americano e un’operaia russa, segnata sul corpo dalle esplosioni nucleari – “Eppure è così attraente”, dice lui.