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Mezzogiorno, Economia Circolare e Fisco: Il programma di Azione ed Italia Viva

Renzi Calenda

Cosa c’è scritto nel programma congiunto di Azione ed Italia Viva 

In questa campagna elettorale, Carlo Calenda e Matteo Renzi, che poco in passato si sono amati, correranno insieme. Ed insieme hanno firmato e presentato un programma congiunto.  I due leader hanno piani per il Mezzogiorno, per l’Energia, l’Economia Circolare, il Fisco e non solo.

Riportiamo il programma integralmente.

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PRODUTTIVITÀ E CRESCITA

Il Piano 4.0 realizzato dall’allora Ministro Carlo Calenda con il Governo Renzi è stata la principale iniziativa di politica industriale degli ultimi 30 anni, grazie al quale gli investimenti e la produttività hanno raggiunto livelli superiori a quelli delle imprese tedesche. Per questo è necessario concentrare le risorse su strumenti fiscali semplici ed automatici a supporto degli investimenti di cittadini ed imprese. Questa è l’unica strada per aumentare salari e posti di lavoro.

1. Zero tasse per i giovani che avviano un’attività imprenditoriale

Aprire una nuova impresa comporta molte spese iniziali che scoraggiano l’imprenditorialità. Per mitigare un potenziale problema di liquidità, proponiamo di posticipare e rateizzare tutti gli adempimenti fiscali dei primi 3 anni nei periodi successivi per tutti i giovani under 35 che decidono di aprire una nuova attività.

2. Facilitare la crescita dimensionale delle imprese

Le imprese di piccolissime dimensioni sono meno produttive di quelle di dimensione maggiore. In Italia, rappresentano circa il 95% (ma solo il 30% del PIL). È quindi necessario porre in essere misure che facilitino ed incentivino la crescita dimensionale delle piccole e microimprese. Per questo proponiamo di:

▪ innalzare la soglia dimensionale d’impresa per l’applicazione di alcuni dei più pesanti vincoli burocratici in materia di lavoro;

▪ modulare la defiscalizzazione già prevista nelle Zone Economiche Speciali al fine di favorire la crescita delle piccole imprese e incentivare quelle di medie e grandi dimensioni;

▪ potenziare il credito d’imposta per i costi di quotazione delle PMI, già introdotto dal MISE nel 2017.

3. Stimolare l’innovazione tecnologica e gli investimenti

▪ Ripristinare e ri-potenziare industria 4.0 – depotenziata dai precedenti Governi – aggiornando la lista dei beni agevolati (includendo le nuove tecnologie) e aumentando il tetto massimo per gli investimenti;

▪ Estendere il meccanismo industria 4.0 agli investimenti per la transizione ecologica (es: impianti di produzione e accumulo di energia per l’autoconsumo).

4. Aiutare le imprese a trovare forza lavoro qualificata

Il 39% delle posizioni aperte per il mese di giugno 2022 sono di difficile reperimento per mancanza di candidati o inadeguatezza degli stessi. È fondamentale quindi implementare una politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato (anche per l’attuazione del PNRR) e le competenze a disposizione della forza lavoro. In particolar modo è necessario:

▪ coprire i costi che le imprese sostengono per organizzare, in collaborazione con ITS e altri istituti di formazione, corsi specialistici per la creazione delle competenze realmente richieste. Tali corsi dovrebbero essere aperti sia al personale interno da riconvertire, sia ai lavoratori non ancora assunti e che potranno effettuare colloqui al termine del periodo di formazione.

▪ potenziare gli ITS investendo 1,5 miliardi di euro, per raddoppiare il numero di iscritti e di laureati attraverso un aumento del numero complessivo di istituti, in linea con quanto previsto dal PNRR.

5. Completare le riforme sulla concorrenza

6. Piccole imprese e artigianato

Le piccole e micro-imprese artigiane sono i luoghi dei talenti italiani, dove spesso prendono vita le esperienze del Made in Italy maggiormente di successo. Per sostenere queste realtà occorre accompagnare il passaggio generazionale, favorire il credito diretto e le garanzie, anche attraverso la mutualità privata e promuovere la formazione professionale sul campo attraverso l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato duale.

CRESCITA DEL MEZZOGIORNO

Le opportunità per rilanciare il Mezzogiorno passano dalle risorse europee, che garantiscono complessivamente circa 130 miliardi di euro fino al 2027 (82 miliardi di euro del PNRR da utilizzare entro il 2026 e 48 miliardi di euro della programmazione 2021-2027 dei Fondi strutturali). A queste si aggiungono le risorse nazionali del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (73,5 miliardi di euro, riservati per l’80% al Sud), da utilizzare anche attraverso i Contratti istituzionali di sviluppo e riprendendo e portando a compimento i Masterplan siglato dal Governo Renzi nel 2016. L’obiettivo è creare un secondo motore dell’economia per rendere questa area del Paese attrattiva per gli investimenti, ricca di opportunità per i giovani

1. Differenziare la defiscalizzazione per incentivare la crescita dimensionale delle imprese

Il Governo Draghi ha potenziato la defiscalizzazione nel Mezzogiorno. Questo percorso deve proseguire con maggiore intensità introducendo benefici fiscali differenziati per incentivare la crescita dimensionale delle imprese.

2. Completare l’Alta Velocità e potenziare i treni regionali

Nel periodo 2008-2018 nelle città intorno all’Alta Velocita il PIL è cresciuto del 7-8% in più rispetto a quelle escluse dal servizio. È necessario, in linea con il PNRR, completare i lavori sulla Napoli-Bari, l’avanzamento ulteriore della Palermo-Catania-Messina e la realizzazione dei primi lotti funzionali delle direttrici Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia, garantendo per entrambe la completa realizzazione. È necessario inoltre potenziare le reti ferroviarie regionali e interregionali, soprattutto in Sicilia.

3. Realizzare l’Esagono della portualità

L’Economia del Mare incide nel Mezzogiorno per il 4,4% sul valore aggiunto, per il 5,7% degli occupati e per il 4,6% del totale delle imprese, tutti dati superiori alla media nazionale. Bisogna creare una rete dei porti presenti nelle regioni meridionali, mettendoli a sistema grazie a una cabina di regia, e valorizzare in particolare le opportunità di crescita e di investimenti nazionali e internazionali offerte dalle ZES. Devono essere realizzati i collegamenti di ultimo miglio tra le aree portuali alla rete ferroviaria, in linea con il PNRR. Questo consentirà di migliorare l’efficienza nella distribuzione della merce.

4. Aumentare la diffusione della rete internet

È necessario aumentare il numero di abitazioni con accesso alla fibra fino a casa, che ad oggi sono il 26,8% nel Mezzogiorno, 8 punti percentuali in meno delle regioni del nord ovest.

5. Aumentare la quota di turismo non balneare per garantire maggiore continuità

Il Mezzogiorno attrae meno turisti sia del resto del Paese (18,5% del totale) sia delle altre aree che si affacciano sul Mediterraneo. Si tratta di un turismo prevalentemente balneare caratterizzato da forte stagionalità e bassa contribuzione al valore aggiunto. Per sfruttare il potenziale turistico del Mezzogiorno, è necessario aumentare la spesa pro-capite dei comuni del Sud in cultura: ad oggi si registra una spesa di 8,9 euro, meno della metà rispetto alla media nazionale. Bisogna, inoltre, migliorare la capacità d’accoglienza (nel Mezzogiorno sono presenti il 17,1% delle strutture ricettizie italiane) e la qualità dei servizi connessi.

6. Rimuovere i vincoli indiretti alla crescita economica e al benessere sociale

Per le regioni del Mezzogiorno è particolarmente importante rimuovere i vincoli che frenano gli investimenti e la formazione scolastica e professionale anche nel resto d’Italia. In particolare, come approfondito nelle altre sezioni del programma, è necessario: ridurre i tempi della giustizia; semplificare i processi della pubblica amministrazione per ridurre la burocrazia e aiutare i Comuni a migliorare le proprie performance, per sfruttare le opportunità del PNRR e rendere servizi ai cittadini più efficienti; potenziare il sistema sanitario sia a livello ospedaliero sia territoriale; rafforzare l’istruzione scolastica e la formazione sin dai primi mesi, anche rinnovando gli edifici per consentire la diffusione del tempo pieno; investire in sicurezza; costruire gli impianti necessari per la gestione dei rifiuti e potenziare la raccolta differenziata; ristrutturare la rete idrica per ridurre il problema delle perdite.

Occorre approvare ogni anno leggi sulla concorrenza che gradualmente – e nel rispetto della sostenibilità sociale dei cambiamenti – rendano la nostra economia più libera e meno gravata da barriere all’ingresso e restringimenti della concorrenza, a vantaggio di innovazione, crescita e tutela dei consumatori. Occorre dare attuazione alla riforma delle concessioni balneari – prestando particolare attenzione ai nuclei familiari che hanno nella concessione la fonte di reddito prevalente e hanno effettuato investimenti nella struttura – approvata dal Governo Draghi e attuare una liberalizzazione dei trasporto pubblico non di linea, con particolare attenzione all’adeguamento delle piattaforme tecnologiche alle regole dei servizi del settore e dei relativi diversi mercati di riferimento (Taxi/NCC).

ENERGIA E AMBIENTE 

ENERGIA

1. Breve Periodo: raggiungere l’indipendenza dal gas russo

L’indipendenza dal gas russo è diventata una questione di sicurezza nazionale e come tale dovrà essere affrontata. Per questo riteniamo necessario:

▪ completare con procedure straordinarie la costruzione di due rigassificatori galleggianti che consentano l’importazione di gas naturale liquefatto in sostituzione di quello russo

▪ aumentare la produzione di gas nazionale riattivando e potenziando gli impianti già esistenti, anche valutando possibili partnership con le imprese gasivore per la condivisione dei costi in cambio di forniture a prezzi concordati. Dal 2001 la produzione nazionale di gas è diminuita dell’80% a fronte di una domanda di consumo sostanzialmente invariata. Questo ha comportato un aumento delle importazioni.

▪ Rafforzare la strategia sulle energie rinnovabili, anche completando il processo di individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili per velocizzare il processo di localizzazione e autorizzazione; completare l’opera di semplificazione delle autorizzazioni per gli impianti; programmare le nuove aste FER; valorizzare l’idroelettrico come asset strategico per il paese; favorire lo sviluppo dell’idrogeno.

▪ aiutare le imprese a ridurre i costi della bolletta elettrica incentivando con garanzia statale la produzione di energia rinnovabile per autoconsumo (inclusi i sistemi di accumulo)

▪ promuovere in EU un price cap a tutto il gas importato per ridurre anche il costo dell’energia elettrica e (alternativamente) continuare a tassare gli extra-profitti delle imprese energetiche (inclusi i trader) utilizzando gli introiti per ridurre le bollette per le imprese energivore e le famiglie meno abbienti

▪ intervenire sul prezzo della CO2 a carico delle imprese (incluse quelle energetiche) che a causa della guerra in Ucraina ed il conseguente aumento della generazione elettrica a carbone è cresciuto del 300% dal 2021, contribuendo alla spinta inflattiva. È quindi necessario che la Commissione Europea utilizzi le quote della market stability reserve per ridurre il prezzo della CO2 fino al termine della crisi.

2. Medio periodo: ridurre del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 con fonti rinnovabili

Dobbiamo proseguire il percorso di decarbonizzazione, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% rispetto al livello del 1990, possibilmente entro il 2030. Qualora il livello delle importazioni di energia elettrica dall’estero e di generazione idroelettrica interna dovessero risultare inferiori alle aspettative, e si dovesse destinare il bio-gas prevalentemente ad usi non elettrici, la capacità elettrica rinnovabile addizionale potrebbe essere ben superiore ai 70 GW cui fanno riferimento gli scenari europei. In questo caso la capacità rinnovabile intermittente complessivamente installata potrebbe superare i 140 GW, con conseguenti problemi di congestione delle linee di trasmissione e fabbisogno di grandi capacità di accumulo. Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 è quindi necessario sviluppare sin da ora strumenti alternativi come i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 prodotta dalle centrali termoelettriche.

È inoltre fondamentale disaccoppiare il prezzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili da quello dell’energia da fonti fossili per ridurre il prezzo medio ed evitare che l’attuale crisi possa ripetersi, anche attraverso l’efficientamento del mercato energetico. Ad esempio, è necessario definire una piattaforma per lo scambio di contratti di lungo periodo per energia prodotta da fonti rinnovabili.

Infine, proponiamo di rilanciare il ruolo del c.d. “Prosumer” sia a livello delle Comunità Energetiche (famiglie e pubblica amministrazione) sia a livello di distretti industriali (PMI e grandi imprese) attraverso un accesso prioritario alle aree idonee per gli “impianti rinnovabili” di cittadini ed imprese per contenere in modo strutturale il costo dell’energia, promuovere la competitività e accelerare il processo di decarbonizzazione

3. Lungo periodo: includere il nucleare nel mix energetico per arrivare ad “emissioni zero” nel 2050

L’obiettivo “emissioni zero” al 2050 passa da una forte elettrificazione degli usi di energia, con un fabbisogno elettrico tra il doppio e il triplo dell’attuale. Per questo è necessario utilizzare il giusto mix di generazione, che

includa rinnovabili e nucleare, impiegando le migliori tecnologie disponibili. Generare tutta l’energia elettrica necessario al 2050 con sole tecnologie rinnovabili variabili richiederebbe impianti eolici e fotovoltaici, sistemi di accumulo di breve e lungo termine, reti elettriche e conseguente occupazione di suolo in misura almeno tripla rispetto a un mix ottimale con rinnovabili e nucleare. Inoltre, i costi del sistema elettrico sarebbero fino al 50% più elevati. Per raggiungere questo obiettivo, occorre sin da ora definire il quadro regolatorio che disciplini il dispiegamento nel tempo delle tecnologie necessarie, alle migliori condizioni economiche.

TRANSIZIONE ECOLOGICA

Per raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai valori del 1990 bisogna ridurle del 41% rispetto al 2018. Oltre ad operare sul piano energetico, è necessario intervenire nei settori che possono influire maggiormente sulla riduzione delle emissioni: trasporti (responsabile del 26,6% delle emissioni totali), edilizia (19,2% delle emissioni totali) e foreste (sottraggono un decimo delle emissioni).

1. Ridurre l’impatto del trasporto merci e diminuire l’uso di mezzi privati inquinanti

L’Italia ha una flotta di veicoli per il trasporto su gomma più vecchia rispetto alla media UE e una percentuale di trasporto su ferro del 12%, ventesima in Europa, dove la media è del 20%. Per ridurre le emissioni è necessario ringiovanire il parco mezzi, ripristinando il super e iper-ammortamento al 130% e 140%, destinato alla progressiva sostituzione delle flotte con mezzi meno inquinanti per il trasporto merci. Per favorire il trasporto su ferro bisogna investire 8 miliardi di euro per integrare le reti ferroviarie italiane nei corridoi europei, realizzando 5.100 km di binari per consentire il transito dei treni merci più lunghi (750 mt). Per diminuire l’uso di mezzi privati inquinanti bisogna: aumentare la costruzione annuale di metropolitane (da 14,2 km a 20 km) e di tramvie (da 16,9 km a 25 km) per un costo di 1 miliardo di euro l’anno; procedere con lo svecchiamento del parco autobus (5 miliardi in tre anni) e del parco treni (2 miliardi di euro); aumentare car e bike sharing con incentivi mirati ad ammortizzare i costi di acquisto dei mezzi. Infine, per favorire l’acquisto di macchine ibride ed elettriche da parte dei privati, bisogna aumentare gli incentivi per queste macchine, e favorire l’istallazione di punti ricarica pubblici urbani (stradali/privati) ed extra-urbani per auto elettriche e ibride plug-in.

2. Abbassare i consumi di energia, migliorando l’efficienza energetica degli edifici e aumentando il calore generato da fonti rinnovabili non nocive per l’ambiente

La principale causa di emissioni nell’edilizia è il riscaldamento, che assorbe l’80% dell’energia utilizzata dagli edifici. È quindi necessario aumentare il numero di case (per una volumetria del 13%) che utilizzano il teleriscaldamento prolungando la rete di 900km entro il 2030. Questo investimento avrebbe un costo di circa 2,5 miliardi di euro. È necessario, inoltre, costruire 250 impianti di teleriscaldamento alimentati con legno cippato nei piccoli Comuni montani. Questi impianti costano 125 milioni di euro e permettono di risparmiare circa 112 mila tonnellate di CO2 l’anno. Occorre poi investire 1,2 miliardi di euro in centrali di biogas per immettere il biometano nella rete di riscaldamento, e realizzare un piano di azione per la ristrutturazione e l’efficientamento energetico dell’edilizia pubblica.

3. Garantire la manutenzione delle foreste e rilanciare la filiera del legno

In Italia, ogni anno le aree boschive sottraggono circa 46,2 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera, circa il 10% del totale. Una gestione sostenibile di queste aree garantirebbe un aumento del 30% dell’assorbimento di carbonio. È quindi necessario contrastare l’abbandono delle aree boschive (urbane ed extra-urbane) aumentando i controlli sui Piani di gestione forestale coordinati a livello regionale. Per stimolare il rafforzamento della filiera del legno, seconda industria manifatturiera in Italia, bisogna investire 6,6 milioni di euro nelle regioni più ricche di patrimonio forestale per creare dei percorsi dedicati alla formazione in mestieri del legno negli istituti tecnici e negli ITS e altri 25 milioni di euro per la realizzazione di 50 piattaforme logistico-commerciali.

4. Approvare un piano per la gestione del dissesto idrogeologico e aumentare gli investimenti

Siamo tra i primi paesi al Mondo per danni causati dal dissesto idrogeologico, pagando in media circa 3,5 miliardi l’anno dal 1945. Riteniamo necessario, oltre alla redazione di un apposito piano e di un framework normativo per il cambiamento climatico, aumentare gli investimenti in prevenzione e in infrastrutture di contenimento e rendere obbligatoria l’assicurazione contro i danni da calamità naturali (oggi solo il 2% delle abitazioni ne sono coperte).

CRISI IDRICA

Nel 2022 si è registrato un calo di circa il 45% della pioggia e di circa il 70% della neve rispetto alle medie degli ultimi anni. Il Po è sceso di 8 metri, la resa del grano è diminuita del 15% e la produzione di latte da mucche è diminuita del 10%. Nei prossimi anni è ragionevole aspettarsi una progressiva riduzione delle precipitazioni (o comunque una loro concentrazione in alcune stagioni). Le nostre proposte hanno l’obiettivo di evitare che l’attuale crisi si possa ripetere.

1. Recuperare e realizzare nuovi invasi e bacini per trattenere le acque piovane.

In Italia solo l’11,3% dell’acqua piovana viene immagazzinato, sprecando così un potenziale enorme. Il PNRR dedica 2 miliardi di euro per investimenti in infrastrutture idriche: proponiamo che questi finanziamenti vengano utilizzati per la realizzazione degli invasi. È inoltre necessario incentivare la pulizia degli invasi esistenti semplificando le disposizioni normative riguardante la gestione dei detriti.

2. Ristrutturare la rete idrica italiana per ridurre le perdite (attualmente del 40%).

Oltre il 40% dell’acqua viene dispersa o sprecata nella rete idrica. Paragonato agli altri Paesi europei questo dato è allarmante: in Francia la dispersione nella rete idrica ammonta al 20% e in Germania l’8%. In media solo 3,8 metri di condotte per ogni chilometro di tubi a fine vita viene sostituito ogni anno e quasi tutti gli interventi sono al Centro Nord. È necessario aumentare il tasso di sostituzione. A quasi 30 anni dall’approvazione della legge Galli, in molte parti d’Italia la gestione del servizio idrico è ancora lontana da una logica industriale che è invece necessaria per una gestione efficiente, per investimenti adeguati e in ultima analisi per salvaguardare la natura primaria del bene acqua.

3. Promuovere un piano per il riuso delle acque di depurazione.

In Italia non esiste un piano nazionale per il riuso delle acque di depurazione nonostante il grande potenziale di questa risorsa: quasi il 30% dell’acqua restituita dai sistemi di depurazione è di buona qualità ma invece di essere utilizzata in agricoltura finisce nei fiumi o in mare. Occorre stabilire che le nuove costruzioni edilizie prevedano il riuso delle acque grigie.

4. Aumentare la capacità di investimento sulla rete idrica

Gli investimenti nel settore idrico in Italia sono inferiori rispetto alla media europea: 49 euro pro capite nel biennio 2020-2021 contro i 100 euro pro-capite in Europa. Per effettuare gli investimenti di cui alle proposte 1,2 e 3 è necessario agire su due direttrici:

▪ Allineare le tariffe idriche italiane a quelle europee. L’Italia è tra i Paesi dell’UE con le tariffe più basse. Questo aumento graduale delle tariffe consentirebbe di effettuare maggiori investimenti e incentivare famiglie ed imprese ad un uso più attento dell’acqua

▪ Ridurre il numero degli operatori. Gli operatori del servizio idrico sono circa 2.500 di cui solamente il 17% sono gestori industriali privati. I gestori industriali investono 6 volte più dei loro competitor pubblici ma circa la metà dei loro omologhi europei. É quindi fondamentale, tramite un maggiore coordinamento regionale, ridurre il numero di operatori e aumentare le dimensioni degli stessi al fine di incrementarne l’efficienza e la capacità di attrarre capitali privati.

5. Incentivare gli investimenti in sistemi di irrigazione che riducano gli sprechi d’acqua

Questa misura è rivolta principalmente agli imprenditori del settore agroalimentare che investono nell’irrigazione di precisione che consente di ridurre gli sprechi ma anche di avere migliori rendimenti

monitorando le fasi delle colture ed evitando alle piante gli stress da carenza o da sovrabbondanza di acqua. Oltre al sistema di irrigazione goccia a goccia, gli incentivi sarebbero accessibili anche a chi investe nel controllo digitale in real-time e da remoto delle fasi di irrigazione e di micro-irrigazione.

ECONOMIA CIRCOLARE

L’Italia è uno dei Paesi europei più virtuosi in materia di economia circolare: complessivamente ricicliamo circa il 68% dei nostri rifiuti (urbani e speciali) contro una media UE del 35% inoltre produciamo quasi la metà dei rifiuti rispetto alla media europea. Invece, per quanto riguarda i rifiuti urbani la quota di raccolta differenziata varia molto tra regioni del nord (circa 68,13%) e regioni del sud (circa 56,8%). In particolare, delle 8 regioni che non rispettano il target europeo sulla raccolta differenziata, 6 si trovano nel Mezzogiorno. Inoltre, in contrasto con la logica dell’economia circolare che vede il rifiuto come una risorsa, l’Italia ha un trend in aumento di rifiuti esportati all’estero.

1. Realizzare un piano di investimenti per nuovi impianti di trattamento dei rifiuti

Il sistema impiantistico italiano per la gestione dei rifiuti è rimasto indietro e deve essere rafforzato. Se da una parte è importante dare priorità alla Strategia UE per l’economia circolare, che privilegia il recupero materico dei rifiuti, non si può pensare di volere un sistema a “rifiuti zero” senza avere un termovalorizzatore dove serve. Autorevoli istituti di ricerca, hanno stimato un fabbisogno di circa 70 nuovi impianti da realizzare entro il 2035, tra recupero energetico e discariche conto terzi, per un valore di 10 miliardi di euro circa. Bisogna investire ulteriori risorse nel settore visto che le riforme del Pnrr prevedono “solo” 2,1 miliardi di euro per la realizzazione di nuovi impianti per il trattamento e il riciclo dei rifiuti, l’ammodernamento di impianti esistenti e la realizzazione di progetti “faro” di economia circolare. L’obiettivo è quello di realizzare una rete omogenea di impianti di trattamento e riciclo dei rifiuti dal punto di vista territoriale, consentendo l’ottimizzazione di economie di scala e ottenendo così una gestione più efficiente su macroaree regionali. Infine, è necessario applicare le disposizioni del programma nazionale per la gestione dei rifiuti approvato dal Governo Draghi come, a titolo esemplificativo, il superamento del pre-trattamento privilegiando il recupero energetico diretto dei rifiuti indifferenziati o l’applicazione del tracciamento dei flussi per il loro monitoraggio. Utilizzare i fondi del PNRR per realizzare infrastrutture che migliorino l’economia circolare, ad esempio per aumentare il recupero delle terre rare (RAEE).

2. Aggiungere sulle confezioni maggiori informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti in vendita

Proponiamo una nuova etichetta che, seguendo il modello francese Eco-Score, indichi l’impatto ambientale dei prodotti in vendita facendo riferimento al ciclo di vita, il sistema di produzione (biologico, equo-solidale, etc), l’imballaggio, l’impatto legato ai trasporti, la riciclabilità degli imballaggi e il rispetto della biodiversità. In questo modo sarà possibile incentivare il consumo di prodotti sostenibili e penalizzare quello dei prodotti più inquinanti. Il modo migliore per incentivare l’acquisto di prodotti con punteggi più alti sarà garantito grazie alla riduzione dell’IVA sui prodotti coinvolti. Questa proposta è complementare all’etichetta che sarà obbligatoria dal 2023 che prevedrà solamente l’indicazione di come smaltire la confezione.

3. Incoraggiare l’applicazione della tariffazione puntuale per la TARI

Oggi la TARI tradizionale viene definita in base ai metri quadrati dell’immobile e non è collegata in alcun modo alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta. Proponiamo per questo di rendere operativa su tutto il territorio nazionale l’applicazione della tariffazione puntuale della TARI, sul modello di quanto fatto già in molti comuni italiani. Questo tipo di tariffa si basa sul principio del pay as you throw, secondo cui paga di più chi produce più rifiuti, premiando gli utenti che effettuano maggiormente la raccolta differenziata e che scelgono prodotti con minori imballaggi, incentivando i produttori a ridurre i materiali usati per il confezionamento. Sarà realizzata una mappatura dei Comuni che hanno applicato il metodo tariffario puntuale per creare un database di esempi di successo che possano supportare i Comuni che lo devono ancora introdurre. Nonostante l’ambito di competenza non riguardi direttamente il Governo, il Ministero della Transizione

Ecologica può imporre dei LEA a cui tutte le amministrazioni locali si devono adeguare secondo una specifica timeline.

4. Creare un sistema di premialità per i Comuni che riducono la quota di rifiuti non inviati a riciclaggio

Sul modello dell’Emilia-Romagna, proponiamo premiare i Comuni con le migliori performances in materia di riduzione e trattamento dei rifiuti, scoraggiando l’utilizzo di discariche.

LAVORO

Il mercato del lavoro è improntato a un formalismo sfrenato, il costo del lavoro è altissimo, la produttività è bassa, la mobilità professionale molto limitata e gli spazi di ingresso per i giovani sono estremamente ristretti; le imprese che operano in modo regolare sono sovraccaricate di costi, oneri e procedure molto pesanti, mentre le aziende che scelgono di collocarsi ai confini della legalità riescono a violare ogni regola. Il lavoro flessibile – quello che offre garanzie, tutele e opportunità di ingresso nel mercato del lavoro – viene contrastato dal sistema, mentre i contratti precari e illeciti si diffondono senza ostacoli efficaci.

Troppo spesso misure e proposte politiche si focalizzano solo sul lavoro dipendente. Tuttavia, sono 800mila i lavoratori indipendenti che dal 2009 hanno chiuso la loro attività. Solamente nel 2020 si sono persi 154mila posti di lavoro indipendente, di cui circa 38mila liberi professionisti. Sono ancora numerosissime le difficoltà per chi decide di praticare la libera professione. Dal trattamento a livello pensionistico rispetto al lavoro dipendente alla discriminazione che porta all’esclusione da incentivi e agevolazioni concessi ad altri soggetti economici. La strada per una piena uguaglianza è ancora lontana.

1. Introdurre un salario minimo

L’esigenza di garantire a tutti i lavoratori una retribuzione dignitosa deve passare attraverso una serie di azioni condivise con le parti sociali: una legge sulla rappresentanza delle parti sociali che combatta il fenomeno dei contratti-pirata e assicuri che siano validi solo i contratti collettivi firmati da organizzazioni realmente rappresentative; la validità erga omnes dei contratti, assicurando la massima copertura di ogni tipologia di lavoro residuale, e la fissazione di un minimo di ultima istanza. Inoltre, i meccanismi previsti in altre parti del programma (vedi minimo esente e imposta negativa) assicurano ulteriormente l’innalzamento del reddito disponibile per i lavoratori poveri.

2. Detassare i premi di produttività

Stimolare la produttività del lavoro riducendo le tasse che si pagano sulla retribuzione erogata per premiare gli incrementi della produttività, detassando completamente i premi.

3. Supportare le imprese che investono in riqualificazione della forza lavoro (non solo dipendente)

Il 39% delle posizioni aperte per il mese di giugno 2022 sono di difficile reperimento per mancanza di candidati o inadeguatezza degli stessi (con picchi del 60% in alcuni settori come quello della lavorazione della carta e del legno). È fondamentale quindi implementare una politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato (anche per l’attuazione del PNRR) e le competenze a disposizione della forza lavoro.

Proponiamo un rimborso, per tutte le imprese che, in coordinamento con il MISE, organizzino tramite gli ITS e altri enti di formazione, corsi specialistici organizzati per la creazione delle competenze richieste dal mercato (non solo in innovazioni). Tali corsi dovrebbero essere aperti sia a personale interno da riqualificare, sia a lavoratori non ancora assunti e che potranno effettuare colloqui al termine del periodo di formazione.

4. Combattere la precarietà promuovendo la flessibilità regolare

Il Decreto Dignità ha perseguito un obiettivo giusto (combattere il precariato) in maniera totalmente sbagliata, perseguendo il lavoro flessibile regolare e fallendo nel contrastare le peggiori forme di precariato (false partite IVA, collaborazioni irregolari, false cooperative, falsi tirocini, appalti illeciti). Sono queste le forme da combattere, aumentando vigilanza e sanzioni.

Nella stessa ottica, bisogna accorpare e cancellare la miriade di “mini contratti” utilizzati per le forme di lavoro brevi, ripristinando i voucher che regolavano in maniera corretta e trasparente rapporti che, oggi, sono tornati nel limbo dei contratti irregolari.

5. Combattere la burocrazia: piano straordinario per la semplificazione

Bisogna riprogettare il futuro del nostro ordinamento lavoristico, puntando su regole più efficienti e moderne, in grado di attirare e mantenere gli investimenti. Per questo va lanciato un piano straordinario per la semplificazione, finalizzato a cancellare tutte le procedure e le regole inutili e inefficienti; in questo modo si

potrebbero anche ridurre quelle forme di contenzioso basate su violazioni formali, oggi molto diffuse, che minano la competitività del nostro mercato del lavoro senza offrire alcuna garanzia aggiuntiva ai lavoratori.

6. Eliminare il Reddito di Cittadinanza dopo il primo rifiuto e ridurlo dopo 2 anni

Il Reddito di Cittadinanza (“RdC”) è uno strumento pensato male, che ha voluto raggiungere troppi obiettivi con un solo strumento e che ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti. Chi ne ha usufruito non ha trovato lavoro, non è riuscito a formarsi professionalmente e non ha partecipato a progetti di pubblica utilità come previsto dalla normativa. A fronte di 20 miliardi spesi nel primo anno e mezzo, lo strumento ha generato nuova occupazione a tempo indeterminato per meno del 4,5% dei percettori.

Tra i percettori emerge una grande eterogeneità, in particolare per quanto riguarda la prossimità col mercato del lavoro e l’occupabilità: 70,7% dei percettori sono senza alcuna esperienza professionale nei tre anni precedenti e oltre il 72,6% dei beneficiari ha completato al massimo le scuole medie. Infine, lo strumento si è dimostrato non sufficientemente incisivo nella lotta contro la povertà: 56% delle famiglie in condizione di povertà assoluta non riceve il RdC, mentre 36% dei percettori risulterebbe sopra la soglia di povertà assoluta. Per questo occorre introdurre delle modifiche che incentivino maggiormente la ricerca di un impiego e l’inserimento nel mercato del lavoro e rendano più giusti e inclusivi i criteri di accesso. Proponiamo che il sussidio venga tolto dopo il primo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione, dopodiché l’importo dell’assegno deve essere ridotto di almeno un terzo e il beneficiario deve essere preso in carico dai servizi sociali del Comune.

7. Adottare modifiche sostanziali che eliminino le iniquità esistenti nella struttura del sussidio (a danno delle famiglie numerose e a coloro che vivono nelle grandi aree urbane)

8. Consentire concretamente alle agenzie private di trovare lavoro ai percettori del reddito

I centri per l’impiego non sono stati efficaci nel favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro come dimostra la scarsa percentuale di percettori del reddito di cittadinanza che è riuscita a trovare un’occupazione. Per questo è necessario consentire alle agenzie private per il lavoro di accedere ai dati dei percettori del reddito al fine di poter affiancare i centri per l’impiego nella ricerca del lavoro. È inoltre fondamentale che le agenzie private svolgano colloqui mensili obbligatori con i percettori del reddito al fine di monitorare la ricerca di lavoro ed individuare eventuali esigenze formative. Il sussidio deve essere rimosso per i percettori che non partecipano ai colloqui.

9. Utilizzare ITS e scuole di alta formazione per potenziare formazione dei percettori del sussidio

In Italia abbiamo un problema molto rilevante di mancanza di forza lavoro qualificata rispetto ai lavori richiesti (skills mismatch). È fondamentale quindi potenziare la formazione dei percettori del Reddito di Cittadinanza, prevedendo corsi obbligatori da pianificare a livello nazionale sulla base del fabbisogno e dello skill mismatch misurato mese per mese dall’Anpal (a maggio 2022 il 40% delle posizioni era di difficile reperimento) e dalle agenzie private per il lavoro nel corso dei colloqui mensili con i percettori del sussidio. L’erogazione della formazione dovrà essere esternalizzata alle scuole di alta formazione pubbliche e private e agli ITS.

10. Semplificare le regole per l’attivazione dei progetti di pubblica utilità e coprirne i costi

Un altro meccanismo del RdC che non funziona riguarda l’obbligo (teorico) dei percettori di partecipare per otto ore a settimana a progetti di pubblica utilità organizzati da enti del terzo settore. Oggi questo non avviene a causa di complessi iter burocratici. È quindi necessario semplificare le procedure per l’attivazione di progetti da parte del terzo settore, prevedendo anche coperture di bilancio per le spese di strumentazione e di assicurazione dei percettori. Se gli attuali percettori del RdC, lavorassero otto ore a settimana come previsto, il terzo settore beneficerebbe di circa 350mila addetti full time (già retribuiti). Un aumento di circa il 38% degli addetti attualmente impiegati nel terzo settore.

11. Consentire ai lavoratori autonomi di partecipare ai bandi nazionali e regionali come le imprese

I professionisti e i lavoratori autonomi sono frequentemente esclusi da strumenti di incentivazione delle attività produttive e agevolazioni fiscali in quanto per usufruire di tali strumenti è necessaria l’iscrizione alle Camere di Commercio. Un requisito che, di fatto, emargina i professionisti iscritti a un albo professionale. Per questo

riteniamo necessario equiparare, ai fini della partecipazione a bandi nazionali e regionali, l’iscrizione agli albi e agli ordini professionali da parte dei liberi professionisti all’iscrizione alla Camera di Commercio da parte delle imprese.

12. Incentivare la crescita dimensionale degli studi professionali

Uno degli elementi di debolezza delle attività dei lavoratori autonomi in Italia risiede nelle dimensioni contenute degli studi professionali, sia dal punto di vista del numero dei professionisti occupati che del capitale finanziario impegnato. In un mercato sempre più complesso e diversificato, la crescita competitiva passa inevitabilmente attraverso l’aggregazione multidisciplinare. Al momento, tuttavia, vi sono fortissime barriere fiscali per chi vuole formare una Società tra Professionisti (STP), che determinando un incremento sostanziale del carico fiscale. Occorre intervenire su questo aspetto, eliminando il disincentivo fiscale e intervenendo anche sulle problematiche di carattere normativo, contributivo e disciplinare.

13. Completare la riforma sull’equo compenso delle prestazioni professionali

Il disegno di legge sull’equo compenso dell’ultima legislatura è un buon punto di partenza ma necessita comunque di importanti modifiche per giungere alla sua piena ed effettiva applicazione e sanare situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti “forti” (imprese bancarie e assicurative nonché le imprese diverse dalle PMI).

14. Potenziare la cassa integrazione per i professionisti e le politiche attive per gli autonomi

La legge di bilancio 2021 ha istituito, in via sperimentale per il triennio 2021-2023, l’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa, una sorta di cassa integrazione facoltativa dedicata agli autonomi che si trovano in particolari situazioni di difficoltà. Il provvedimento si è rivelato pieno di vincoli che ne hanno compromesso fortemente le potenzialità soprattutto a causa dei requisiti di accesso troppo restrittivi. In attesa del completamento del triennio di sperimentazione, è bene correggere fin da subito le maggiori criticità della misura, partendo dalla riduzione dell’aliquota contributiva da versare all’INPS e la rimodulazione dei criteri di accesso. Contestualmente andranno definiti, attraverso nuovi percorsi di politiche attive, gli strumenti necessari per l’aggiornamento professionale dei lavoratori autonomi, come ad esempio gli accordi con le associazioni di categoria. L’obiettivo ultimo deve essere quello di garantire misure di riqualificazione per mantenere o anche innalzare la competitività nel mercato del lavoro.

15. Istituire un sistema opzionale di mensilizzazione del versamento delle imposte dirette

Il sistema del saldo e dell’acconto va riformato. Occorre offrire ad un lavoratore autonomo la possibilità di mensilizzare il versamento delle imposte dirette, spalmando da luglio a dicembre l’attuale acconto di giugno e da gennaio a giugno dell’anno successivo l’attuale acconto di fine novembre.

FISCO

Il fisco italiano, sostanzialmente, risale alla metà del secolo scorso. Ed è uno dei più complicati e pesanti sistemi del mondo. È iniquo, inefficiente e scoraggia la crescita. Per riformarlo non servono slogan acchiappa-voti o nuove tasse, ma una coerente opera di riforma sistemica – come si era iniziato a fare con il disegno di legge delega sulla riforma fiscale – con il duplice obiettivo di stimolare la crescita e semplificare il sistema. Famiglie e imprese hanno bisogno un fisco più leggero e più semplice. Adatto a questo secolo, e non a quello precedente.

1. IRPEF 

Il “manuale di istruzioni” della principale imposta italiana consta di 341 pagine. Poteva, forse, essere accettabile nel vecchio mondo. Ma nell’epoca della globalizzazione è un fattore di scarsa competitività e di enorme freno alla crescita. Proponiamo di riformare l’Irpef attraverso questi interventi:

▪ introduzione di un minimo esente, inteso come maxi-deduzione corrispondente all’ammontare che viene giudicato essenziale per sopravvivere. Che, una società liberale e attenta agli ultimi, non può essere oggetto di tassazione;

▪ unificazione tra la detrazione per lavoro autonomo e quella per lavoro dipendente;

▪ semplificazione dell’imposta, spostando tutte le spese fiscali in un sistema a rimborso diretto: paghi con strumenti tracciabili, e periodicamente lo Stato ti rimborsa la percentuale oggetto della vecchia detrazione.

▪ detassazione specifica per i giovani: totale fino a 25 anni, ridotta del 50% fino a 29 anni;

▪ creazione della tassazione negativa, sul modello anglosassone: per i livelli di retribuzione inferiori al minimo esente, lo Stato integra la retribuzione del lavoratore in misura crescente con la retribuzione stessa. In questo modo, si inverte la distorsione causata dal Rdc (“ti pago per non lavorare”) e lo si trasforma in “più ti impegni più ti integro la retribuzione”);

▪ detassazione straordinaria – per il solo 2022 – di una extra mensilità (fino a 2,200 euro) che le imprese potranno scegliere di erogare ai propri dipendenti ai fini alleviare gli effetti dell’inflazione.

2. IRAP 

Nella legge di bilancio 2022 abbiamo contribuito in maniera decisiva ad abolirla per le persone fisiche (835.000 contribuenti). Ora va completata l’abolizione per le altre categorie giuridiche (società di persone, enti non commerciali, società tra professionisti, società di capitali).

3. IRES 

▪ Uniformazione del bilancio fiscale a quello civilistico

▪ Detassazione completa per gli utili trattenuti in azienda e per quelli destinati a schemi di partecipazione da parte dei lavoratori.

▪ Aliquote dimezzate per cinque anni in caso di fusioni tra imprese

▪ Riordino normativo e unificazione del sistema dei crediti di imposta in caso di comportamenti virtuosi e/o in linea con la transizione ecologica.

▪ Estensione della procedura di prederminazione del carico di imposta (cooperative compliance).

4. IVA 

Passaggio ad un sistema a due aliquote (una ridotta e una ordinaria) e contestuale riordino dei beni e servizi assoggettati a ciascuna aliquota e ad aliquota zero.

5. Riduzione della tassazione del risparmio 

▪ Riforma della tassazione del risparmio in senso favorevole al contribuente, armonizzando i criteri di determinazione delle basi imponibili e unificando le categorie “redditi da capitale” e “redditi diversi di natura finanziaria”, in modo da consentire le compensazioni.

▪ Fiscalità specifica per cercare di convogliare il risparmio privato italiano verso l’economia reale: rafforzamento dei Pir (ordinari e alternativi) e creazione dei “Pir istituzionali”.

6. Lavoro autonomo

Il regime forfettario ha favorito tanti lavoratori ma, nella sua attuale versione, costituisce una formidabile barriera contro la crescita. Oltre la soglia di 65.000 euro di ricavi annui, infatti, vi è un “burrone” fiscale che scoraggia la crescita o incentiva al sommerso. Proponiamo allora di realizzare, per chi supera la soglia di 65.000 euro, uno scivolo biennale di tassazione agevolata che accompagni gradualmente l’ingresso alla tassazione ordinaria Irpef.

7. Riscossione e lotta all’evasione

Dal 2014 al 2019, come conseguenza dell’introduzione del fisco elettronico, il tax gap fiscale e contributivo si è ridotto di 10 miliardi di euro. Quel risultato può essere esteso continuando l’investimento sulla digitalizzazione e al contempo semplificando e riducendo gli adempimenti.

Servono nuove regole per la gestione del magazzino dei crediti fiscali, che oggi conta 1100 miliardi, la maggior parte dei quali non esigibili. Occorre far partire una “rivoluzione manageriale” nella riscossione, abbandonando l’approccio formalistico a vantaggio di uno rivolto all’efficienza.

8. CODIFICAZIONE 

Occorre raccogliere tutta la normativa tributaria in testi unici, periodicamente aggiornati e tradotti in inglese.

9. Fisco degli enti territoriali 

Ogni livello di governo deve avere uno strumento fiscale esclusivo il cui gettito trattiene integralmente; questo – accoppiato a una ripartizione chiara delle competenze e a fondi perequativi allocati secondo fabbisogni standard e capacità fiscale – costituirà un vero federalismo fiscale basato sull’inscindibile accoppiata tra Autonomia e Responsabilità.

10. Incentivi al welfare aziendale 

Incremento a 2000 euro (rispetto agli attuali 600) dell’ammontare dei benefici (c.d. fringe benefits) concessi dalle aziende ai propri dipendenti. Tale misura, tra l’altro, costituisce un incentivo allo sviluppo del terzo settore gioca un ruolo importante nella offerta di tali servizi, e ampliare la dimensione dei benefits significa dunque favorire il non profit.

11. Incentivi a previdenza complementare per i giovani 

Programma di incentivazione all’attivazione di piani di previdenza complementare per gli under 35.

Qui il resto del programma di Azione ed Italia Viva. 

 

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